25/10/2014
Regalo grande oggi, vedere scorrere sotto di me tutti i luoghi che ho visitato a partire dal 22 Luglio di quest' anno ma visti a ritroso. Prima ho riconosciuto il Mani, il secondo dito del Peloponneso, poi il primo, la costa, pochi secondi dopo una distesa grandissima di case che si affacciano sul mare e un ponte di ferro che collega due sponde: Patrasso! Più in la il golfo di Corinto.
Il cielo, molto nuvoloso, comunque mi permette di scorgere gran parte della costa. Zante non la vedo perché nascosta sotto l’ ala sinistra. Neanche un minuto dopo le sagome di Itaca e Cefalonia! Con porto Vathi come una ferita profonda inferta nel mezzo della selvaggia isola e con un piccolissimo guizzo degli occhi : Sami a Cefalonia. E’ sorprendente vedere tutto cio’ e saper riconoscere subito i luoghi come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si vedono con precisione i due porticcioli e poi nello stesso golfo Santa Eufemia vicino alle
grotte di Melissani. Navajio, finalmente, perché non ci sono mai stato. In lontananza sulla destra tutto l’ arcipelago di Lefkas che tanti ancoraggi e tanti barbecue ha visto anche quest’ anno a bordo di Blue Bone. Poi sempre verso destra, la costa lungo Preveza, riconoscibilissima per la pista dell’ aereoporto ed il grande golfo omonimo, la direzione dell’ aereo è NW , verso maestrale, la città maestra. In questo momento dovrei essere su Paxos e poi Corfu’ che purtroppo non vedo.
Il mitico canale d’Otranto! Senza l ‘affanno di dover calare e soprattutto cercare di pescare qualcosa, sono troppo alto! 3 mesi per arrivare fino a Creta, bellissima isola e un’ ora per tornare in aereo; anche se la sensazione che mi ha suscitato era un po’ frenetica ho goduto ogni attimo ed ogni momento vissuto laggiù in quei piccolissimi porticcioli, rade, baie approdi e spiagge mano a mano che scorrevano sotto di me. E penso anche a tutti gli equipaggi che la Blue Bone ha ospitato in questo lunghissimo 2014. Ad ogni porto o isola corrispondono bellissimi momenti, risate,urla,bagni,
scorpacciate e mancate pescate trascorsi insieme. Certo collocare persone giuste ai luoghi appropriati è però cosa che mi risulta difficile considerata la mia memoria più emozionale che selettiva e dettagliata. L’ aereo sta già atterrando e presto rivedrò sulla terraferma tutti o quasi i protagonisti di questa splendida estate.
Alfredo
lunedì 27 ottobre 2014
martedì 16 settembre 2014
Da Itaka a Creta: il vero viaggio di esplorazione.
26/8 Dopo tre ore di ritardo, si vede spuntare all’orizzonte la
balena metallica che ci porta Monica. Gli indiani d’America suonano già nello
stereo per lei.
“Vale, sentiti!” mi dice questo cielo stellato di Filiadro (Itaka).
“Sento quanto sto bene”.
Cade una stella cadente e raggiungo dopo giorni e giorni
Alfredo nella cabina di prua!!!
27/8 Scendiamo a remi nella spiaggia di Filiadro dove c’è un
lido d’altri tempi: pochi ombrelloni bianchi, acqua trasparente e un piccolo
bar coi suoi tavolini di legno sotto il bosco di ulivi echeggiante di cicale.
Qui prendiamo la decisione di aspettare il vento e navigare
verso sud. Da quest’istante inizia il viaggio nel vero senso del termine,
l’esplorazione di posti nuovi.
Monica è sul nostro stesso canale percettivo del mare e
della vela: è un’ottima compagna d’avventura.
Il vento, però, non monta e ci spostiamo solo di baia:
Pigadi è un paradiso terrestre, un’ampia baia ridossata dal vento, con al
centro un isolotto. Noi ancoriamo nel punto più stretto tra l’isola e la terra
ferma, con cime a terra, in uno specchio di acqua verde trasparente.
Quando un filo di vento monta, lo sfruttiamo per andare nel
porto di Sami, qui abbiamo un incontro fortuito e fortunato con la “Victory” di
Ennio, il navigatore veneziano in possesso di tutte le carte nautiche
dell’Egeo. Speriamo che il paesino sia fornito di fotocopiatrice di A1.
Grandioso ce l’ha!
Giovedì 28 agosto 2014 ore 13:53.
Monta la tramontana e noi iniziamo la nostra esplorazione del Sud della Grecia, fino a Creta.
Non ho fatto nemmeno in tempo a scriverlo che il vento ha
mollato, regalandoci, però, una delle più belle baie viste finora, poco più a
Nord di Poros. L’acqua è celeste caraibica, la spiaggia grande e bianca e ci
siamo solo noi.
Un po’ a vela un po’ a motore arriviamo a Sud di Cefalonia a
Kato Katalion per passare la notte.
E’ un posto da evitare per i velisti, disseminato di secche:
trovare un cerchio col diametro di 20 metri con fondale buono per dare ancora è
stato a dir poco ostico. In più non è neppure una baia particolarmente bella.
Comunque adesso che è notte e che è comparso il primo
spicchio di luna nuova, ci facciamo cullare dal mare e ci piace.
29/8 Il vento ci porta a Zante e la sua costa orientale ci
sfila
davanti lentamente.
davanti lentamente.
E’ un’isola, purtroppo, molto urbanizzata lungo la costa.
All’interno ci sono montagne alte e piene di verde, che scemano in colline
dolci e ondulate. Qui hanno costruito case e resort per turisti, alcuni anche
alti e simili a brutti condomini per sfruttare malamente un litorale di sabbia
lungo quanto tutta l’isola.
Arriviamo a motore nel golfo di Lagana, qui, grazie alle
tartarughe che nidificano nelle grandi spiagge, non si è costruito ed è vietata
in alcune zone anche la balneazione.
Noi attracchiamo davanti all’isola di Marathonisi che ha la
forma di una caretta caretta, la cui coda è un istmo di meravigliosa spiaggia
bianca e acqua turchese. A parte questo Zante non mi è piaciuta.
E così ce ne siamo andati prima del tempo, arrivando a
Katacolo nel Peloponneso.
Qui c’è un marina comunale in città con acqua, elettricità e
docce calde. Una notte costa 15,00 euro.
Il paesino è davvero bello: piccole case, alcune il riva al
mare, tutte con il loro curato giardinetto.
Appena arriviamo ci accoglie Joannis, detto Jannis, che ha
una bellissima fattoria, vista mare, in cui ci si può anche dormire, che ci
vende verdure dell’orto, olio e vino casereccio leggermente liquoroso, ottimo
per il cicchetto della buona notte (Jannis: 00302621041079 – info@tsoukalos-rooms.com).
31/8. Il mio compleanno inizia alle 7:00 di mattina con
un’ottima colazione offerta da Monica. Alle 8:30 sarebbe dovuto partire il
treno per Olympia, ma non è mai arrivato e così ci tocca aspettare il pullman
per Pyrgos che parte alle 10:15 e poi qui aspettarne un altro per un’ora e
mezzo.
Ma ne è valsa la pena: il sito archeologico è vasto e pieno
di storia, ci sono i resti dei tempi di Zeus ed Hera, il Gynnasium, la piscina,
alcuni pezzi ben mantenuti di mosaico del V sec. a.c., lo stadio i bagni degli
atleti e un’infinità di colonne e capitelli dorici e corinzi. Inoltre visitarlo
è piacevole, perché è pressocché deserto e in molti tratti all’ombra di
maestosi alberi.
Anche il museo è interessante ci sono almeno tre stanze
piene di statue di eroi e divinità perfettamente conservate e poi statuine
porcellane e attrezzi vari. Al ritorno per 40,00 euro prendiamo un taxi e
riusciamo a rinfrescarci in spiaggia con un bel bagno di acqua cheta e
trasparente.
Per fortuna che Katacolo ci piace, perché domani è prevista
burrasca e dovremo quasi sicuramente sostare ancora qui.
1/9 La mattina appena svegli la piccola città di Katacolo è
in fermento: trenini e carrozze sono pronti, una trentina di pullman e taxi
anche, i negozi – ieri chiusi – hanno già esposto le loro variopinte mercanzie.
L’arcano è presto svelato: attracca la nave da crociera della MSC per la visita
ad Olympia.
Noi ce ne andiamo in spiaggia prendendo ombrelloni e
lettini, che qui sono incredibilmente gratuiti. Se si vuole, ma non è
necessario, si prende qualcosa da bere al bar.
La notte verso le 3:00 arriva l’attesa burrasca. Il porto è
davvero sicuro per fortuna e anche se dormiamo male, tutto va per il meglio.
2/9 Man mano che il temporale si allontana, prende piede in
noi l’idea di partire e approfittando di 15 nodi a traverso, veleggiamo verso
Kiparyssia.
Mi sento una privilegiata a fare questa vita, sospinta dal
vento come una vera viaggiatrice. Scoprire posti, terre e mari di cui nessuno
mi ha parlato fino ad ora e disegnare con pochi tratti di penna nuove rotte per
chi nel corso degli anni ci vuole raggiungere. In questo modo anche Sogno blu
si nutre di nuova linfa ed il lavoro diventa un progetto che si può
condividere.
Quello che era solo un sogno sta pian piano prendendo forma
e ha in sé la potenzialità di crescere ed espandersi in tutto il Mediterraneo e
chissà magari anche oltre.
Per Alfredo un sogno che si avvera, per me un desiderio che
vivo senza nemmeno averlo espresso.
L’idea di andare a Kiparyssia col tempo ancora instabile è
audace se non azzardata: il portolano parla di un porto oltremodo insicuro, ma
data l’ora non abbiamo alternative.
Come si suol dire la fortuna aiuta gli audaci: il porto è stato
potenziato con la costruzione di un nuovo molo che ora lo ridossa
completamente, rimane giusto un po’ di risacca.
Presenti in banchina acqua ed energia elettrica gratuite!
Inoltre la città alta, sovrastata da un antico castello
Franco-Bizantino, abbarbicata sul monte Psikro è vivace e deliziosa.
3/9 Partiamo la mattina presto e ci fermiamo in una baia ad
Est dell’isola di Proti. E’ paradisiaca: rocce alte, piene di macchia
mediterranea, sovrastate da un monastero bizantino, da poco ristrutturato con il
suo giardino ed orto perfettamente curati. L’acqua trasparente è verde smeraldo,
piena di pesci, ricci e stelle marine.
A piedi, percorrendo il sentiero del monastero, arriviamo
dall’altra parte: rocce scoscese a picco sul mare blu che si frange a riva con
violenza. Sembra un paesaggio irlandese.
Si alza un leggero NW e con il gennaker, accompagnati dalla musica
dei Ghetonia, puntiamo Pilos a sud del primo dito del Peloponneso. Il vento ci
sostiene e decidiamo di continuare e attraccare a Methoni che Rod Heikel dice
essere il posto che più preferisce di tutto il Peloponneso Ovest.
Intanto ci sfila davanti l’ingresso della baia di Navarino,
costituito da grossi faraglioni, rigorosi come un ponte sul mare con tanto di
archi e pilastri di roccia; le montagne dietro sono lussureggianti di verde
come tutto il Peloponneso fino ad ora percorso.
Poco dopo a Sud iniziamo a vedere una grande fortezza
veneziana, che si allunga come un molo sul mare chiusa da una bizzarra torre
turca.
Sono le rovine di Methoni, all’interno delle quali c’è il
porticciolo e il paesino di case bianche ben curate e molteplici bar e
trattorie che però non ne snaturano l’aria di antico borgo signorile.
4/9 La mattina partiamo presto. C’è un’aria frizzante e
delle curiose nubi bianche che si stagliano sul cielo settembrino. Ci fermiamo
a fare un bel bagno nella baia di Sapienza a NW dell’omonima isola.
Qui l’acqua gesticola con guanti turchesi e smeraldo.
Sulla rotta per Limani, al centro del secondo dito del
Peloponneso, il Mani, lo spettacolo è quello di un mare blu sberluccicante di
sole, delineato dal profilo di tre isole, trampolino di lancio di una lunga
veleggiata con il vento in fil di ruota.
Scorgiamo le montagne del Mani mentre Alfredo legge ad alta
voce dal libro che ne porta il nome nel titolo di Patrick Leigh Fermor “E fummo
di là nel Mani. Un subisso di brulli
picchi grigi si ergevano precipitando da gole e tortuose altezze, pari o
superiori alla nostra; inclinati ad angoli pazzeschi, cadevano così a
strapiombo che era impossibile vedere cosa c’era, un mondo più in basso, in
fondo al canyon immediatamente sotto di noi. Tranne dove gli spigoli taglienti
erano smussati da una frana, le montagne parevano come d’acciaio. Era un luogo
morto, astrale, un habitat da draghi. Ogni cosa era immobile. Non un’aquila
librata in volo, non un suono, né un segno che esseri umani avessero mai
calpestato quei sassi; immensi dirupi rocciosi sembravano sbarrare ogni via di
fuga.”.
5/9 Anche oggi ci svegliamo presto e andiamo a visitare le
grotte nella baia di Diros. In molte centinaia di migliaia di anni, in questi
anfratti anfibi, la terra ha costruito fantastiche stalattiti e stalagmiti, in
ogni angolo adornate da cristalli splendenti. Tronchi preistorici di roccia si
ergono per 70 metri dall’acqua cristallina. E’ un paesaggio surreale che si
insinua sotto terra per 14 km, anche se noi ne visitiamo appena 2 su una
piccola barca di legno a remi.
La guida parla delle grotte più belle al mondo ed in effetti
sono spettacolari. Ricordano la scena di "Nausica nella Valle del Vento", quando
lei viene risucchiata dalle sabbie mobili in un mondo sotterraneo dall’acqua
incredibilmente pura.
Anche oggi maciniamo miglia a vela sotto massicci costoni di
roccia rugosa alti 300 metri a strapiombo sul mare.
Attraversiamo Capo Grosso, anch’esso brullo e pietroso, col
suo faro abbarbicato sulla punta, con 30 nodi di vento.
L’abbattuta di poppa la facciamo mentre sono io al timone.
Queste manovre mi causano ancora un po’ di tensione.
Il vento ulula e le onde sono importanti, speriamo che Porto
Kayo sia un riparo sicuro.
Non solo lo è ma si è rilevato uno dei posti più belli di
questo viaggio! Una gola tra i monti spolverati di macchia, con poche case
stile neomaniota; sembrano case del deserto perfettamente camuffate nella
roccia. Sono costruite in modo squadrato, simili a dorate torre medioevali,
senza verande né balconi, come piccole fortezze a guardia di questa arida
terra.
Purtroppo però la ricorderemo come la baia del tender perché
dopo l’ancoraggio ci siamo resi conto di averlo perso tra le onde di Capo
Grosso.
6/9 Anche
l’acqua qui a Kayo è bellissima, di un intenso blu piena di vita: pesci
colorati, pinna nobilis, , coccioli ed erbe varipinte.
Nel procedere verso l’isola di Elafonissos, incontriamo un
branco di delfini; tre di loro si staccano dal gruppo e vengono a giocare con
la prua della barca.
Elafonisos: leggendaria bellezza che ci rimarrà nel cuore;
c’è una doppia baia a sud dell’isola di
acqua celeste caraibica, più chiara del fondo di una piscina. Le due baie sono
chiuse da un istmo di sabbia bianca. Il resto sono dune, alcune come paesaggi
lunari con ciuffi di macchia qua e là e orchidee selvatiche; le altre
completamente di sabbia come nel deserto. Ma tutte morbidamente si tuffano in
quest’acqua di specchio e turchese. Restiamo a dormire qui con la luna ormai
quasi piena e un bel po’ di risacca che ci fa dondolare assai.
7/9 Il Meltemi ci porta di gran lasco a Kithira. Il porto è
piccolo e con il vento forte tentiamo tre volte l’ormeggio, prima di disporci
all’inglese lungo il pontile piccolo, sapendo che su quello grande ormeggerà il
traghetto.
Il villaggio è formato da due baie di sabbia bianchissima
che ci ospitano per mangiare, per fare un sonnellino sotto gli alberi e
leggere. I colori sono contrastanti e violenti:
vanno dal blu scuro, al verde e al celeste fluorescente. Scioccanti e
strabilianti.
Ci innamoriamo della piccola taverna bianca sulla spiaggia,
ma anche di alcune case antiche abitate da vecchi lupi di mare,
anch’esse
costruite sulle dune.
Dopo cena ci intratteniamo con Robin ed Ester: lui un
indiano tedesco e lei svizzera di Zurigo, che hanno ormeggiato a pacchetto su
Blue Bone. Fanno la nostra stessa attività su un Comet 45 piedi Tiger of London di
un armatore inglese che glielo affida in cambio di manutenzione.
Anche loro imbarcano gli ospiti sempre da porti diversi e
quest’anno hanno girato così tutto il Mediterraneo dalle Canarie alle Baleari,
poi Corsica, Sardegna, Ischia, Sorrento, Sicilia e tutta la Grecia, la
stessa che abbiamo percorso noi.
Sono simpatici e genuini e ci siamo dati appuntamento ad
Heraklion.
8/9 Oggi il Melteni dorme e le 15 miglia che ci separano da
Antikithira le percorriamo a motore. Ci aspettavamo poco più di uno scoglio
disabitato ed invece l’isola è grande, noi entriamo in una gola perfettamente
circolare e ormeggiamo in paese. E’ un tipico villaggio dell’Egeo tutto di case
in calce bianca e gli infissi celesti e le tipiche chiese bizantine. Nel
porticciolo molte variopinte barche da pesca. Noi siamo gli unici diportisti.
La gola è di acqua chiara e verde, ricchissima di pesci e granchi azzurri e
gialli.
Vediamo passare un gruppo di trampolieri che migrano verso
l’Africa e poi ceniamo alla taverna del posto insieme a tutti i pescatori che
si danno appuntamento lì per raccontarsi la loro giornata.
Intanto dai monti ad Est sorge la luna piena e Monica resta
assorta intonando canti sacri all’astro splendente.
9/9 Dopo una lenta e piacevole veleggiata ci avviciniamo a Creta. Ci mostra
per primo il suo lato nordoccidentale: catene montuose di quasi 1.000 metri a
picco sil mare, brulle, selvagge; ricordano il paesaggio delle montagne
spagnole dove si nascondeva la Pastora nella guerra civile tra i Partigiani e
la Guardia Civil di Franco nel libro che sto leggendo (Dove nessuno ti troverà,
di Alicia Gimenèz –
Barlett).
Non una casa, non un faro, né una cappella votiva, solo dure
pietre appena spolverate da una leggera vegetazione. Il resto è mare blu
intenso e piccoli ciuffi di nubi bianche, tipiche di questo cielo di metà
settembre, che fanno da contorno alle cime più alte dei monti cretesi.
Noi puntiamo Gramvousa, un’isola di fronte a Creta che poco
si differenzia da uno scoglio, con un ridosso sicuro per passare la notte e –
si spera – uno specchio d’acqua per un bel bagno.
In realtà mentre ci avviciniamo alla nostra isola, ci sembra
di intravedere nel suo punto più alto un’antica fortificazione. Ma è così o è
un’illusione disegnata dalle rocce?
No, c’è proprio un’enorme muraglia con dentro un castello e
antiche costruzioni che rendono ancora più affascinante questo avamposto di
Creta.
A Monica ricorda un paesaggio della Patagonia, ad Alfredo
della Giordania.
A Sud, dove ci ancoriamo noi, c’è una baia di acqua turchese
con una bella spiaggia di sabbia e dune ed una distesa di agavi. Gli abitanti
dell’isola sembrano essere i falchi che solcano il cielo, anche se ci sono tre
case di pietra per altro molto belle.
Nuotando nell’acqua chiara mi ritrovo in mezzo ad un branco
di cefali, poi incontro due pesci rossi, un pesce pappagallo e svariate decine
di occhiate.
Il cielo diventa
verde petrolio e poi di quella indefinita tinta dell’imbrunire; alcune
nuvolette all’improvviso si accendono come candele per scrivere poesie …. è la
regina della notte che si sta levando dai monti ancora più grande di ieri,
arancione come l’astro che la illumina. Una piccola nube la copre ma lei veloce
sguscia sopra l’ostacolo come un palloncino sfuggito alle mani di un bimbo.
Così rischiarata questa solenne baia tra i monti cretesi e Gramvousa è un logo
potente, magnetico capace di rapirti l’animo e farlo librare in volo come un
falco solitario.
10/9
La mattina presto scendiamo a nuoto e compriamo dagli unici
abitanti dell’isola un vasetto di miele ai fiori di timo che è una favola e un
raki al miele che ci brilla a prima ora.
Il vento inizia a spirare leggero e noi ci incamminiamo
prima a motore e poi con il gennaker che ci regale una splendida veleggiata fino a
Chania.
Nel tragitto finalmente peschiamo un bel pesce e ne esce
fuori una zuppa coi tubetti niente male.
Dopo tanti giorni di rade e piccoli villaggi abituarci agli
odori e rumori di una città è difficile.
Il porto si trova in centro, circondato da una fortezza
veneziana. La città è bella, ricca di musei e chiese, alcune adibite a musei e
gallerie d’arte contemporanea, i palazzi perfettamente restaurati sono in stile
veneziano, le vie strette e caratteristiche. Si vedono le successive
dominazioni: quella bizantina, poi ottomana, la veneziana e infine quella
attuale delle orde turistiche che ne hanno snaturato l’anima riempiendola a
dismisura di negozi di souvenir, ristoranti e bar.
Riusciamo a trovare u
ristorante un po’ più appartato, nel centro storico dietro la fortezza
veneziana (Portes) e mangiamo assai bene spendendo anche poco.
11/9 Dopo una spesa di verdure e formaggi al mercato coperto
partiamo con direzione Est.
La costa è totalmente disabitata con alte e verdi montagne
che si tuffano a mare. Poi i dirupi diventano più dolci e infine scemano in
basse colline spolverate da piccoli villaggi.
Peschiamo a ripetizione due tonnetti e quando arriviamo
nella rada di Bali, dopo il bagno, preparo il sushi, il carpaccio con limone,
olio e pepe e poi i tranci scottati con granelle di mandorle.
La cena annaffiata con il rosato di Jannis è la più buona di
questo viaggio in barca a vela ed è resa suggestiva dall’alba di luna rossa,
che spunta dal mare e ci protegge dalle luci dei villaggi turistici alle nostre
spalle.
12/9
Dopo un bagno in una baia con due piccoli lidi esclusivi
sugli scogli arriviamo a destinazione: Heraklion, dove forse Alfredo e la Blue
Bone sverneranno.
Incontriamo la Tigre di Londra di Ester e Robin che ci
ricambiano il favore dell’ormeggio a pacchetto e visitiamo il centro pseudo
storico di questa grande città di Creta. Di sicuro non è turistica e le vie
pedonali del centro sono tutto sommato carine e piene di vita autentica. I
negozi sono quelli necessari e non vendono spazzatura per turisti di passaggio.
Ma avremo una settimana per visitarla bene, insieme ai dintorni con le rovine
della civiltà micenea a bordo delle nostre bici, mentre Monica se ne vola a Bologna.
mercoledì 10 settembre 2014
Sociologia del traghetto di ritorno
Una cosa che accomuna tutti gli ospiti di Blue Bone è il viaggio di ritorno in traghetto.
Pubblico questo divertentissimo pezzo sociologico di Stefano che vale a raccontare tutti i viaggi in nave.
"Sulla banchina del
porto dell'isola greca (una qualsiasi da cui sia possibile partire per
l'Italia), la sensazione iniziale è l'appartenenza a un'orda. I guerrieri e le
guerriere del ritorno in patria sono in genere abbronzati, bardati da turisti
balneari – pantaloncini, canotte e infradito (o variante sneaker con pedalino
corto o fantasmino; facoltativo un cappello simil-panama) – appesantiti da
parecchi chilogrammi di zaini, borsoni, borse termiche e semplici sacchetti di
nylon. Si potrebbe percepire anche qualcosa di più sofisticato dell'orda, per
esempio “cerchie”, che disegnano relazioni forse amicali tra gruppetti interni
all'orda, ma la tensione dell'imminente partenza produce un Leviathano formato
prevalentemente dalla linfa delle cerchie, cioè da coppie e famiglie, il cui
legame è riconoscibile dal tenersi per mano e controllarsi a vicenda.
Nel momento in cui la balena meccanica apre le fauci dopo che le gomene hanno
reso stabile l'attracco, l'orda si slancia nel misterioso entro-nave. L'orda
ondeggia qualche secondo ancora sulla banchina, poi si getta all'interno
esibendo carte d'identità a uno o più addetti. Poi c'è la scalata ai piani
della balena, uno, due, tre e finalmente quattro, quello della reception.
Da qui comincia il paradiso del sociologo in ferie: un'intera società si
dispone in pochi minuti al suo sguardo, senza alcun bisogno di questionari, di
interviste semi-strutturate o di complesse storie di vita. L'orda primordiale
si scioglie, e diventa società, cioè gruppi e grappoli di gruppi, cioè ceti e
classi.
Ci sono alcuni che sembrano più veloci degli altri: sono gli anarco-proprietari, individui che – pur provenendo da un ceto tendenzialmente “traghetto-proletario” – portano con sé un'abitazione, seppure austera. Conquistano in velocità gli spazi del ponte meno esposti al vento e snocciolano una tenda Quechua, rapidissimi e concentratissimi. In pochi minuti la tenda è montata, e degli anarco-proprietari resta la sola testimonianza offerta da uno o più paia di Converse fuori dall'abitacolo. Degli individui non si sentirà più parlare fino a un paio d'ore dalla fine del viaggio, quando richiuderanno la tenda in uno schioccare di dita e si ritrasformeranno in comuni traghetto-proletari.
Ci sono poi i veri traghetto-proletari, coloro che hanno da perdere solo il proprio sacco a pelo (senza tenda Quechua però). Essi si aggirano ripetutamente per tutti gli interstizi della nave, alla ricerca di un luogo adatto al semi-sonno, quanto cioè consentito al proletario giacente dentro o sopra il sacco a pelo dallo scavalcamento di massa del sacco a pelo medesimo da parte della parte inquieta della nave (vedi oltre). Obiettivo del traghetto-proletario è di impossessarsi momentaneamente di un pertugio che permetta l'occupazione di una parete laterale (interna o esterna alla balena meccanica), onde evitare il perenne scavalco di massa del sacco a pelo (che talvolta, o anche più, riesce solo per difetto).
Eccoci poi all'inquieto popolo dei traghetto-sottoproletari, individui privi di tenda, di sacco a pelo e di altri servizi (tipo posto-poltrona, vedi oltre). Questa categoria è composta di persone poco dotate di liquidità. Oppure di persone dotate di liquidità ma rivelatesi eccessivamente ottimiste sulla possibilità di acquistare nella balena un posto-poltrona o addirittura una cabina (vedi oltre). I traghetto-sottoproletari simplex (poveri) si aggirano come anime in pena tutta la notte per tutta la nave, e non disdegnano visite nella sala-poltrone, travestendosi da piccolo-borghesi qualora riescano a trovare un posto vuoto. Trovano un'altra possibilità di ascesa sociale anche quando, capitati casualmente nei paraggi di una presa di corrente, se ne impossessano per ricaricare il cellulare. Vengono allora contattati da altri individui (modalità interclasse) che chiedono per quanto ne hanno oppure, più sfacciatamente, se possono consentirgli una “dieci minuti perché sai, mi si sta proprio scaricando”. Se il traghetto-sottoproletario acconsente, il suo capitale reputazionale aumenta. Sarà così ricontattato e benvoluto da altri individui. Se rifiuta, sarà meno amato ma senz'altro temuto, altro lato della mobilità sociale da non disprezzare. Il traghetto-sottoproletario troppo ottimista, invece, si chiude in un silenzio ostile che dura tutto il viaggio, in genere trascorso fumando un paio di pacchetti di sigarette sul ponte e imprecando contro la malasorte.
Ci sono alcuni che sembrano più veloci degli altri: sono gli anarco-proprietari, individui che – pur provenendo da un ceto tendenzialmente “traghetto-proletario” – portano con sé un'abitazione, seppure austera. Conquistano in velocità gli spazi del ponte meno esposti al vento e snocciolano una tenda Quechua, rapidissimi e concentratissimi. In pochi minuti la tenda è montata, e degli anarco-proprietari resta la sola testimonianza offerta da uno o più paia di Converse fuori dall'abitacolo. Degli individui non si sentirà più parlare fino a un paio d'ore dalla fine del viaggio, quando richiuderanno la tenda in uno schioccare di dita e si ritrasformeranno in comuni traghetto-proletari.
Ci sono poi i veri traghetto-proletari, coloro che hanno da perdere solo il proprio sacco a pelo (senza tenda Quechua però). Essi si aggirano ripetutamente per tutti gli interstizi della nave, alla ricerca di un luogo adatto al semi-sonno, quanto cioè consentito al proletario giacente dentro o sopra il sacco a pelo dallo scavalcamento di massa del sacco a pelo medesimo da parte della parte inquieta della nave (vedi oltre). Obiettivo del traghetto-proletario è di impossessarsi momentaneamente di un pertugio che permetta l'occupazione di una parete laterale (interna o esterna alla balena meccanica), onde evitare il perenne scavalco di massa del sacco a pelo (che talvolta, o anche più, riesce solo per difetto).
Eccoci poi all'inquieto popolo dei traghetto-sottoproletari, individui privi di tenda, di sacco a pelo e di altri servizi (tipo posto-poltrona, vedi oltre). Questa categoria è composta di persone poco dotate di liquidità. Oppure di persone dotate di liquidità ma rivelatesi eccessivamente ottimiste sulla possibilità di acquistare nella balena un posto-poltrona o addirittura una cabina (vedi oltre). I traghetto-sottoproletari simplex (poveri) si aggirano come anime in pena tutta la notte per tutta la nave, e non disdegnano visite nella sala-poltrone, travestendosi da piccolo-borghesi qualora riescano a trovare un posto vuoto. Trovano un'altra possibilità di ascesa sociale anche quando, capitati casualmente nei paraggi di una presa di corrente, se ne impossessano per ricaricare il cellulare. Vengono allora contattati da altri individui (modalità interclasse) che chiedono per quanto ne hanno oppure, più sfacciatamente, se possono consentirgli una “dieci minuti perché sai, mi si sta proprio scaricando”. Se il traghetto-sottoproletario acconsente, il suo capitale reputazionale aumenta. Sarà così ricontattato e benvoluto da altri individui. Se rifiuta, sarà meno amato ma senz'altro temuto, altro lato della mobilità sociale da non disprezzare. Il traghetto-sottoproletario troppo ottimista, invece, si chiude in un silenzio ostile che dura tutto il viaggio, in genere trascorso fumando un paio di pacchetti di sigarette sul ponte e imprecando contro la malasorte.
Poi esiste il ceto della piccola e media borghesia dei posti-poltrona. È un gruppo vasto, ma non troppo. La sua esistenza, apparentemente serena e austera, è tuttavia messa in discussione da eventuali disturbi delle compagnie di navigazione. Se, come è successo più volte quest'estate, ci sono state avarie e altre criticità, può capitare che lo stesso posto sia stato venduto a individui che dovevano alloggiare su navi diverse, poi aggregate alla disperata. In questo caso, nonostante accenni di rissa e rapporti umani surriscaldati, alla fine un'occupazione casuale dei posti diventa la soluzione che impedisce una guerra tra potenziali poveri, e la sistemazione di tutti gli aventi diritto nelle poltrone sfuggite alla vendita risolve il problema e consente una ritrovata pace sociale.
Nel caso in cui il fenomeno delle poltrone vacanti assuma proporzioni cospicue, esiste la possibilità di una silenziosa promozione sociale da parte dei traghetto-sottoproletari più astuti.
Infine, c'è l'alta borghesia delle cabine. È un ceto sociale che rasenta l'invisibilità e l'assenza di suoni: si presentano alla reception senza alzare la voce e, ricevuta la chiave della cabina, si eclissano senza più dare segni di vita. Rappresentano l'evoluzione dell'anarco-proprietario, di cui conservano il robinsonismo comportamentale. Diventano invece visibilissimi e rumorosissimi qualora si verifichi il fenomeno della doppia attribuzione, più raro che nelle vicende dei posti poltrona ma pur sempre possibile. In questo caso l'alta borghesia si trasforma in un attimo in una piccola borghesia litigiosa e senza pietà, disposta a minacciare denunce al personale di bordo oppure – con atteggiamento opposto – ad allungare una certa somma sottobanco al medesimo personale onde ottenere un robusto vantaggio competitivo.
Alle tre di notte, anche sulla nave, il sonno e il semi-sonno hanno il sopravvento. Solo alcuni traghetto-sottoproletari vagano senza meta negli anfratti della balena, ricordando al sociologo in ferie che tra poche ore l'orda si ricostituirà, socialmente amorfa ma ineluttabile".
di Stefano Cristante
Il Racconto di Massimo del suo viaggio su Blue Bone
Mi ritrovai, a quell'ora della notte, felicemente solo con me stesso. Solo il silenzio regnava sovrano tra le poche luci ancora accese di qualche casetta intorno al porto. Il vento era scomparso del tutto. Non il rumore di una cima, ne lo stridio di una qualche ferraglia a sbattere sugli alberi maestri delle altre vele ormeggiate al molo di fronte a noi. Versai ancora gin nel mio bicchiere arancio senza etichetta, da non confondersi con quello identico ma con etichetta celeste nel quale beveva il capitano, che a quell'ora della notte dormiva, dormiva già da un pezzo, disteso sul più alto dei due letti a castello della più piccola cabina della Blue BONE. Quella mattina avevamo lasciato la baietta di ATOKO e la sua vegetazione lussureggiante di pini, cipressi, carrubi, oleastri e mirti, che disegnavano un gigantesco tappeto sui toni del verde adagiato su un sottobosco di pietre bianche e terra rossa in cui lepri, conigli e capre, parevano essere gli unici abitanti di quel regno fatato che spuntava leggero dal mare. La chiesetta prossima alla riva della piccola baia di ciottoli bianchi conferiva all 'isoletta un che di misterioso, a tratti magico, con le sue pareti interne spoglie, con poche icone lignee decorate sui toni del rosso e dell' oro.
Partimmo dopo una ricca colazione dopo il bagno mattutino. La baia di castos sulla rotta per MITIKA, fu molto generosa con noi quella mattina. Mi pare di sentirlo ancora il profumo di quei ricci che tanto apprezzammo tutti. E con questi pensieri buttai giù un sorso di gin tonic, e poi un altro ancora, da quel bicchere di plastica arancio, senza etichetta. Seduta sul fianco destro della prua a dare le spalle al molo, la testa raccolta sulle ginocchia rannicchiate al petto, coi suoi lunghissimi capelli di velluto neri, che le sfioravano le punte dei piedi, Gabriella cercava di ritrovarsi. Eravamo persi lei dentro lo Tziporo ed io nell'Ouzo, prima, e poi nel Gin, tanqueray, per la precisione. Pensai che quel silenzio e quella pace erano il vivaio al quale avevamo affidato il seme preziosissimo della nostra amicizia. Ripensandoci , avverto ancora la sacralità di quel momento, e il ricordo è ancora vivo, l'ombra del suo profilo, il profumo dell'aria marina, e il calore di quel bacio sulla guancia che volle regalarmi d'improvviso e che mi sorprese facendomi sentire prezioso, speciale, mentre galleggiavo su quel mare immobile e mi pareva di essere sospeso dentro una nuvola di pace tanto ero pervaso da un senso di leggerezza in cui aria, acqua, terra e fuoco si fondevano in un elemento unico e indefinibile che chiamerei magia.
Bevvi ancora un sorso di gin tonic e pensai a Valentina, anche lei dormiva già da un pezzo, rannicchiata sul divano di sinistra, in dinette. Valentina, la quinta essenza del viaggio di scoperta, l'anello di congiunzione tra sacro e profano. Donna, a tratti Dea, a volte strega. Dormiva col suo libro tra le mani, sotto l'angolo del book crossing tra decine di libri lasciati in barca da precedenti equipaggi, libri le cui pagine profumavano di viaggi per mare, trasudavano ricordi, e mi piaceva pensare che fossero adesso lì dopo tanto girovagare, per me, nella baia di Mitika in quella notte senza luna e senza vento in quel non luogo chiamato Blue Bone. Bevvi ancora un sorso di quel gin tonic senza ghiaccio che in cuor mio speravo non finisse mai.
Da uno dei boccaporti semiaperto del pozzetto di poppa la voce di Antonella sussurrava qualcosa all'orecchio di marco. Forse lo invitava a disporsi su di un fianco, certamente disturbata dal concerto di tamburi che Marco proponeva anche a me quella notte, con il suo russore forte, deciso, cadenzato.
Non potei fare a meno di pensare a mia madre, a quante notti insonni in più di mezzo secolo di matrimonio con mio padre, il cui russare non temeva le spesse pareti, ne i lunghi corridoi e le porte chiuse della nostra grande casa nel nostro piccolo paese. Sperai che quel loro viaggio di nozze durasse per sempre. La brezza marina si faceva sentire, presi il primo telo di spugna che trovai e mi ci avvolsi le gambe. Riuscii a riconoscerlo dalle stelle marine e dai coralli stampati su di esso come il telo mare di Giuliana. Era una ragazza gentile e ben educata Giuliana, a tratti molto solare a tratti cupa, decisa e determinata sempre nel difendere le sue posizioni. Impenetrabile ma con garbo... sempre! Guardai l'orologio quando senti che un leggero venticello iniziava a soffiare, così come ci aveva preannunciato il capitano. "adesso cala" disse all'ora del tramonto, "ma verso le tre, domattina, si alza un po. Ma poco. " Erano le tre e non me ne stupii, bevvi l'ultimo sorso di gin tonic, appoggiai il bicchiere vuoto sul tavolo e mi ritirai nella cabina di prua dove dormivo con clemente che dormiva beatamente.
Non amo scrivere di lui, ma so per certo che la nostra amicizia è stata per me la prova di come la vita possa avere senso. Chiusi gli occhi su quella notte che stava finendo, di li a poco il sole avrebbe ripreso ad illuminare il nostro viaggio e quel "greco mar da cui vergine nacque venere" sarebbe ancora apparso come realmente è... INFINITO!
di Massimo Cagnazzo
martedì 9 settembre 2014
19 – 26 Agosto: arcipelago di Itaka e la spalla sciamanica.
19/8 Salutiamo tutti ad uno ad uno, mi sta per venire la
tristezza, ma nemmeno ho finito i saluti che arriva Massimo saltando per
l’entusiasmo, poi Giuliana, Gabriella, Clemente, Marco e Antonella … e tutto
ricomincia.
Li portiamo in una rada lì vicino per ristorarsi subito e
dimenticare il duro viaggio in traghetto.
I tonni ci saltano intorno, facendo scappare le sardine e
arrivare in picchiata i gabbiani.
Quando partiamo per Itaka ci attende una veleggiata tosta e
adrenalinica che per fortuna dura poco!
Con questo equipaggio è subito chiaro che ho una spalla
sciamanica: Massimo.
Quando facciamo il primo tuffo ci laviamo di dosso qualcosa
di brutto, quando domandiamo al libro ci risponde con precisione, mentre
cuciniamo consideriamo che le persone fanno i piani di esistenza in funzione
della pensione, noi invece in funzione della morte. Io collaboro con lui nella
preparazione delle sue magie culinarie e diventano un po’ nostre.
Il vento imperversa fuori, la baia è meravigliosa, il cielo
pieno di stelle.
20/8. La baia di Itaka col sole è bianca e celeste. Si vede
il fondo anche se è profondo 20 metri. Dopo un bel bagno ed una colazione “spasulata”
attracchiamo a Vathi. Non la ricordavo così carina. Dal mare sembra più grande
di quella che è: ci sono poche viuzze, un grande lungo mare e belle gallerie
d’arte.
Il vento monta e ce ne andiamo ad Atoko.
La rada di stasera è magica. Apriamo il libro di Massimo “La
vita autentica” di Vito Mancuso e risponde a tutti: sia alle domande
esistenziali sia a quelle più quotidiane.
E’ stupefacente ed è molto tosto a volte con una visione
negativa sulla direzione che ha preso il mondo.
Massimo si arrampica sugli specchi cercando di dare
un’interpretazione positiva, ma non ce la fa: il libro ha risposto in modo
troppo preciso e non ci rimane che accettare nel bene e nel male la bibliomanzia.
21/8. Oggi la colazione è ben apparecchiata e la consumiamo
tutti insieme. Atoko è splendida e c’è già il vento che ci porterà a Kastos,
dove il libro ci ha detto che con i ricci “si può riprovare”.
Riguardo al vento aveva risposto che sarebbe stato “al punto
giusto per camminare”: oggi infatti è costante, moderato e veleggiamo
tranquillamente.
Clemente dal bagno torna carico di ricci grossi e pieni e
Massimo li prepara in un modo nuovo. Restiamo in baia per gustarceli. Il piatto
è talmente buono che riporto la ricetta: in abbondante olio si mette un aglio
intero non sbucciato e lo si toglie prima che fumi, poi si aggiungono i ricci
per 40 secondi, quindi un bicchiere di prosecco a fiamma vivace, lo si lascia
sfumare e poi si spegne. La pasta la si scola al dente e la si mescola con metà
condimento e l’acqua dei ricci filtrata. Si aggiunge pepe e poi nei piatti un
cucchiaio di condimento.
Dopo due rade vorremmo attraccare ai pontili di Mitika, ma
non c’è posto e scendiamo col tender. E’ una piccola cittadina della Grecia
continentale per niente turistica: le case sono piccole e quasi tutte sul mare,
nei cortili ci sono signore e signori anziani seduti a guardare o chiacchierare
fra loro; sono rugosi, vestiti di nero o comunque di antico e hanno occhi
vivaci e penetranti; c’è un barbiere di altri tempi, una sorta di magazzino
deposito che è un ferramenta e una manciata di ristoranti, ognuno col suo
peschereccio. Ci fermiamo nel secondo e lì mangiamo calamari e pesci
visibilmente appena pescati.
22/8. A Kalamos abbiamo scoperto una nuova baia, esposta a
NW: c’è una montagna boscosa, abitata da capre selvatiche che scendono sugli
scogli per abbeverarsi in mare, rocce rosse e mare verde smeraldo.
I nostri pescatori d’apnea sono già andati. Giuliana torna
con una conchiglia, Massimo scrive ed io metto un punto per tuffarmi in questo
paradiso.
I ricci li hanno raccolti anche a riva, c’erano inoltre
cozze penna, polipi e cerniotte che abbiamo lasciato in pace. Tra le pietre,
intenta a succhiarsi un riccio c’era una stella marina enorme rossa.
La preparazione del pranzo e il pranzo stesso la facciamo
durante una veleggiata tranquilla verso Nord, destinazione Meganisi, a porto
Spilia, da Babbis, che ci saluta come di consueto con tre vaffanculo; ma come
dice Giuliana è un bel vaffanculo visto che ci ha trattato con tre dentici di
mare alla brace, perfettamente cotti.
Spartakori, il paesino arroccato sopra il porto è delizioso:
casette abbarbicate in montagna, intorno ad una chiesa a picco sul mare, tutte
le vecchine in lutto ed i loro consorti seduti in strada a conversare.
Il moletto è tranquillo, la chitarra suona e il baretto in
fondo alla baia ci attende.
23/8 Mentre sgranocchio le mandorle raccolte da Gabriella il
mio sguardo si perde nel bosco di cipressi, tutti in fila a guardare il Nord in
una baia vicino a Fiskardo.
Ripenso alla lunga lettera che ho scritto ieri a mia madre,
seduta in un baretto ombroso di fronte al mare. Le ho raccontato, chiarendolo a
me stessa, come la storia di Sogno Blu, ma anche il meraviglioso e fragile
incanto tra me e Alfredo, stiano navigando verso un’evoluzione sconosciuta. Lui
ha lasciato la banca per navigare e scoprire posti nuovi e così adesso che gli
ospiti, ad uno ad uno, ritorneranno alle loro occupazioni, noi veleggeremo verso
sud, per ora Peloponneso e Creta. Ad un certo punto anch’io prenderò un mezzo
per rientrare e vivremo lontani. L’intento è di raggiungerlo spesso e di fare
in parte (anche se poco) la sua vita di viaggiatore, ammirando la sua anima avventuriera.
Quanto a Sogno Blu mi divertirò a organizzare nuovi
itinerari nell’Egeo …. Cambiare significa evolversi, crescere, scoprire luoghi
fuori e dentro di sé. Inizia un viaggio interiore, tratti di penna su paesi
stranieri, captando le loro bellezze, i profumi, i sapori e i mille volti e
sguardi che incontreremo sulla nostra strada.
Fiskardo è questo. Il resto sono il faro veneziano sull’istmo
Nord e le caratteristiche case veneziane che a me ricordano i paesini liguri
delle Cinque Terre.
Mentre passeggio nei vicoli, tuttavia, mi viene in mente un
passaggio di Luciana Percovich nel suo intervento al convegno Matriarkè: il
turismo equivale alle nuove orde barbariche, che arrivando in un posto lo
trasformano in un ammasso di negozietti tutti simili di souvenir, vestitini e
quotidiani stranieri.
24/8 Vorremmo andarcene, ma la catena si ingarbuglia con tre
giri con la barca di una famiglia israeliana. Il porto di Fiskardo, da questo
punto di vista è una trappola.
Alfredo si deve tuffare per liberare noi ed anche gli altri ed io
resto per un’ora al comando di Blue Bone, accumulando una tensione che dopo
pranzo mi ha fatto dormire per due ore abbondanti.
Siamo nella baia azzurra delle mandorle: qui all’imbrunire
prepariamo il nostro barbecue. La settimana scorsa avevamo comprato la carne
dal macellaio dell’autentica Spartakori oggi, invece, da un supermarket di
Fiskardo e la differenza si sente tutta.
La notte si prolunga negli ouzo e parte dell’equipaggio si
fa il bagno nel mare nero, sotto un firmamento fluttuante secondo il brandeggio
della barca.
25/8 Il risveglio è traumatico: i nostri resti vichinghi
hanno attratto decine di vespe fameliche.
E’ impossibile fare colazione, dobbiamo pulire tutto e
costruire trappole …. adesso la guerriglia selvaggia si è attenuata, ma
comunque ci prepariamo a salpare e lasciare qui la colonia di insetti carnivori.
Cefalonia, da Fiskardo a Sami e anche oltre, è un
susseguirsi di baie azzurre, verdi e piene di vegetazione con qualche casetta
di pietra di tanto in tanto.
Ci sfilano davanti mentre Blue Bone veleggia tranquillamente
verso Sami.
26/8 Qui Salutiamo anche quest’equipaggio.
Marco si porta via la libertà, Clemente il vento, Gabriella
nuovi orizzonti, Antonella grandi spazi aperti, Giuliana la tranquillità e
Massimo la certezza che Blue Bone non sia solo una barca.
Iscriviti a:
Post (Atom)