Velaterapia






Sogno Blu crede fortemente nelle grandi potenzialità curative e riabilitative dello sport della vela.

Diverse esperienze sia in Italia che in Europa, documentano numerosi benefici con valenza terapeutico-riabilitativa nell’esercizio della Velaterapia e un miglioramento nella qualità della vita dei fruitori di questa attività. (Cfr. “Psicoterapeuta del mare: la sfida della velaterapia” di Antonio Lo Iacono Ed. Alpes).

Molti e a più livelli possono essere gli obiettivi riabilitativi e curativi attesi nell’esercizio della Velaterapia:

L’assenza di riferimenti esterni stabili, consente un affinamento della consapevolezza corporea e delle capacità coordinative, cinestesiche e motorie.

Lo sviluppo e il miglioramento dell’orientamento spazio-temporale, delle capacità visuo-percettive, delle capacità attentive e di concentrazione e un più efficiente utilizzo della memoria di lavoro.

Rappresentando un utile contesto del "qui ed ora" in cui l'individuo mette alla prova se stesso favorisce l’acquisizione e l’affinamento delle capacità di Problem Solving e Decision Making rese possibili dalla condivisione di spazi, obiettivi, attività e regole comuni negoziate nel team di bordo, dal confronto delle proprie opinioni con quelle degli altri, dall’imprevedibilità delle variabili ambientali esterne che possono richiedere di effettuare scelte efficaci in tempi brevi (un po’ come accade con le variabili interiori emotive).

La consapevolezza, il controllo e la gestione della propria emotività sollecitata dalla costante interazione in un piccolo spazio di gruppo.

Stimolare ognuno a rintracciare rapidamente le proprie inclinazioni ed esplicitarle nell'interpretazione di uno specifico ruolo a bordo.

Sperimentando lo spirito di gruppo, e acquisendo un ruolo, prendere coscienza di essere necessari, e, dal momento che ci si deve relazionare per forza con caratteri diversi, imparare ad essere "assertivi", a limare il proprio carattere e a considerare le ragioni degli altri.

Stimolare la capacità di produrre cambiamenti e influire sull'ambiente con il proprio supporto, e imparare a investirsi di responsabilità nell'assunzione del proprio ruolo all'interno del gruppo.

Sviluppare un senso di accettazione per le regole e i limiti propri e altrui attraverso la condivisione di questi nel gruppo.

Sviluppare un senso di auto-efficacia personale attraverso l’azione e la partecipazione agli scopi condivisi.

Sostenere e accrescere il senso di autorealizzazione personale e la stima di sé e in definitiva la propria autonomia anche attraverso l’idea di “essere al comando” della propria imbarcazione;
Facilitare la generalizzazione nella vita quotidiana delle abilità personali e delle capacità di gestione delle dinamiche di gruppo apprese a bordo.

Favorire uno stile di vita attivo orientato al benessere psico-fisico.

LA MEDIAZIONE DI EQUIPAGGI IN BARCA A VELA.

Una socia fondatrice di Sogno Blu, conseguendo il diploma in Mediazione Familiare presso la Gestalt Puglia di Arnesano, ha studiato e scritto una tesina interessante sulla mediazione degli equipaggi in barca a vela.

Ci sono note interessanti anche rispetto ai posti e ruoli spontaneamente scelti dagli ospiti di una barca, rispetto alle caratteristiche dei loro rispettivi caratteri.

Carichiamo qui di seguito la tesina 





Tecniche della mediazione applicate all’armonizzazione degli equipaggi nello sport della vela.


Tesina di Valentina Stamerra
Relatore Paolo Danza
Lo sport è mediazione e la mediazione è sport. Entrambi hanno in comune la morte  (Morinoe)



INDICE
 
1.     Salpare: abbandono della terra ferma e delle preoccupazioni quotidiane. Entrare in uno spazio protetto e separato dal contesto abituale……P. 4

2.     Andare per mare e conoscenza e controllo delle proprie emozioni: Emozione della paura e mal di mare ………………………………P. 7


3.     Emozione di rabbia e aggressività: gli spazi ristretti, mediazione del conflitto……………………………………………………..P. 10

4.     Emozione dell’invidia e senso di mancanza delle capacità per navigare. Ciascuno ha il suo ruolo da imparare per uno scopo comune……………P. 13

5.     Emozione della gioia, godere anche del silenzio della natura:  sentimento oceanico…………………………… …..P. 15


6.     Emozione della tristezza: ritorno al porto………….P. 17


7.     I sensi e il mare. Il navigare e il sentire nel corpo. Il mare come concretezza del sé e sua metafora ……………………………………        P. 20

8.     Posti e ruoli in barca e l’enneagramma……P. 21


9.     Navigazione lunga e genogramma………………P. 28

10.                       Albe, tramonti e immaginate con i 4 elementi (acqua, terra, fuoco ed aria………………………………….P. 31


11.                       Rada, giochi di ruolo riassunti e riformulazione di quanto è accaduto nella giornata, tecniche di supervisione…..P.34

12.                       Esperienza in barca scelta da genitori separati che condividono momenti di vacanza con i figli…………………………P.38


13.                       Dinamiche relazionali e tipi di conflitto……….P.41

14.                       Congelamento e necessità di cooperazione per la sicurezza di bordo…….P.42


15.                       Esasperazione e necessità di attenersi alle direttive del comandante. il perno su cui tutto ruota è lo scopo di navigare in sicurezza, allontanamento dal conflitto ……………P.43

16.                       Spostamento ed equanimità del comandante, ruoli chiari per tutti i membri……………………………P.44


17.                       Negoziazione sulle decisioni che coinvolgono l’equipaggio: rada o porto? Cambusa, scogli o spiagge: Il rispetto delle forze naturali brainstorming e problem solving……………………… .P.45

18.                       CONCLUSIONI…………………P.46





1)    Salpare: abbandono della terra ferma e delle preoccupazioni quotidiane. Entrare in uno spazio protetto e separato dal contesto abituale

“Salpando dall’ultimo porto
Vedi che hai riempito la barca
Di molte cose
Che forse non ti serviranno più.
Hai portato dei libri
Che non hai mai letto
E che non si faranno mai leggere bene da te.
Hai portato delle fotografie
Che non hai mai guardato
E che speri di guardare
Quando qualcosa del passato
Ti si confonderà.
Hai portato uno specchio
Per riconoscerti nel futuro
Dopo il naufragio.
Hai portato un sacco di cibo
E non sai neanche
Quanto vivrai.
Hai portato tanta acqua
E non sai se domani avrai ancora sete.
Hai portato degli oggetti che hai sempre usato,
Un orologio per renderti conto
Che il tempo passa
Dei documenti
Che attestano che tu sei tu,
Una penna per prendere appunti,
Dei pezzi di carta bianca
Da riempire con le storie che dovranno cominciare.
La barca inoltre è piena di cose da dimenticare
E’ piena di dipendenze.
La tua prima dipendenza
È il tuo modo di respirare.
Domani mangerai il vento … (A. Lo Iacono da “Navigando: poesie terapeutiche).

Per varcare la soglia di una barca, attraverso la passerella, ognuno passa da un elemento stabile: la terra; ad un elemento mutevole e oscillante: l’acqua.
Si passa da un mondo all’altro, da quello delle certezze stabili a quello in cui ogni cosa è incerta, anche i movimenti.
Molti fanno fatica e hanno paura a salire su una passerella. Non hanno appigli ed una volta a bordo il movimento dà un senso di spaesamento che porta l’individuo a cercare punti cospicui per aggrapparsi e darsi sicurezza.
Salire su una barca è varcare le soglie di un mondo a sé, dove il collegamento con il passato, anche prossimo, viene reciso, con il mollare delle cime d’ormeggio.
Il primo ad accorgersi del cambiamento è il corpo che deve controbilanciare con movimenti impercettibili il rollio o il beccheggio della barca.
Gli spazi sono più ristretti e i movimenti più lenti.
Si presta attenzione allo spazio e lo si esplora tenendosi aggrappati alle sartie o ai passa uomini; solo con il tempo e l’esperienza i passeggeri si lasciano andare sicuri ed in posizione eretta. E già perché stare su una barca comporta un mutamento radicale di postura: le ginocchia devono essere leggermente piegate nella posizione di “grounding”, sempre per mantenere un equilibrio improvvisamente diventato meno stabile. Ci si àncora quindi su questo nuovo terreno galleggiante, si fanno scendere le radici in acqua. Per procedere da poppa a prua ci si abbassa per aggrapparsi alle sartie e non cadere, per essere più stabili quando le onde fanno oscillare il “terreno” sotto i piedi.
Ma il cambiamento è anche legato alle abitudini di vita: su una barca i telefoni e i p.c. si danneggiano con la salsedine e gli schizzi e vengono lasciati in dinette, dimenticati ben presto, come tutte le preoccupazioni del mondo terreno, non più ascoltati perché il ruggire del mare e del vento nasconde i loro suoni fastidiosi. Dopo il primo giorno al massimo ho notato che i telefonini vengono addirittura lasciati spenti. In alto mare poi non sono buone o mancano del tutto le connessioni ad Internet. Spontaneamente ci si distacca in modo veloce dal tram tram quotidiano. Basta salpare per non ricordarsi più di impegni e preoccupazioni, che vengono lasciate sulla terra e si entra in uno spazio interiore protetto dove è possibile ritrovare una dimensione del sé che nella vita di tutti i giorni si perde facilmente.
Le cuccette non sono ampie come le camere di casa o di un albergo ed anche i bagagli sono piccoli e poco ingombranti: ci si distacca dalla necessità di tanti oggetti che non sono indispensabili. Ci si porta solo cose essenziali. L’elettricità in barca, così come l’acqua, non è disponibile fuori dal porto se non per mezzo delle pale eoliche e dei pannelli solari, che producono energia solo 12 volts; ecco quindi che diventano superflui asciugacapelli, spazzole elettriche, rasoi elettrici. Altre strumentazioni elettriche vengono usate in modo estremamente parsimonioso, per il risparmio dell’energia che come principale scopo ha quello di far funzionare la strumentazione della barca e le sue batteria.
Il corpo e i suoi bisogni vengono portati all’osso, all’essenziale e così anche la mente segue un processo di semplificazione dei pensieri: il passato ed il futuro sono terrestri, nell’acqua c’è solo il presente ed i suoi bisogni primordiali: sicurezza e quindi sopravvivenza, mangiare e bere ed attenzione nel dosare le scorte, soprattutto nelle navigazioni lunghe, riposare dopo una giornata faticosa in cui anche stare fermi comporta una ginnastica costante: i micro movimenti propriocettivi  per raggiungere l’equilibrio, cosiddetto piede marino.
Tutti questi elementi fanno si che i membri dell’equipaggio abbandonano a terra amici, parenti, lavoro e routine e si incontrano e scoprono come compagni di un viaggio che è in sé una vita. Si sistemano in uno spazio protetto, dunque, in cui c’è maggiore disponibilità al silenzio, all’ascolto, in primis della natura, poi del comandante e dei compagni di viaggio, ma soprattutto un ascolto interiore. Entrare nell’elemento acqua è come entrare nelle proprie emozioni nascoste. Navigare nel mare è esplorare il proprio inconscio che è anche collettivo, farsi trasportare dal vento, è riconoscere le spinte del destino.
Questo spazio protetto a bel vedere è simile a quello di una seduta terapeutica, ma anche di un set di mediazione dove si sospende per un po’ la guerra di tutti i giorni per tentare di ritrovare, negli spazi angusti della separazione, un dialogo con l’altro.
2)    Andare per mare e conoscenza e controllo delle proprie emozioni: Emozione della paura e mal di mare

Molte volte ho studiato
 la lapide che mi hanno scolpita:
una barca con le vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
Ma la mia vita
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
L’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto, avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
E prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia.
Ma la vita senza senso è la tortura.
Dell’inquietudine e del vano desiderio
E’ una barca che anela al mare eppure lo teme” (e.L. Master, Antologia di Spoon River)

Il mare viene descritto da scrittori e poeti come metafora dell’inconscio e delle emozioni umane. Il mare è mutevole come esse: è prima calmo e poi improvvisamente si inalbera, si increspa, rugge, è limpido e chiaro fino all’orizzonte e in alcuni giorni pieno di foschia tanto da non distinguerlo dal cielo. Il mare è, dunque, come i nostri sentimenti, e grazie a questa sua natura emotiva, accompagna le emozioni umane e danza con esse, aiutando chi vuole ascoltarlo ad entrare in contatto con i propri sentimenti, per divenirne consapevole e per cambiare atteggiamento, proprio come fa una barca utilizzando la forza del vento. La barca, come l’uomo, naviga su una distesa emotiva e la sua chiglia affonda le radici in essa, nell’inconscio che è ciò che la rende stabile e le permette di navigare[1]. Come l’uomo, la barca domina le sue emozioni grazie al vento, che cattura nelle vele in una rotta che non è mai lineare, ma a zig zag, con bordeggi, perché solo così può tenere la rotta con un vento che non sempre spira da poppa.
La prima emozione che si incontra in mare è la PAURA.
Paura dell’instabilità dell’acqua, del terreno che ondeggia sotto i piedi. Qui la paura spinge l’uomo alla fuga, a scendere, a non salpare. Poi c’è la paura dell’acqua alta, del mare nero, ignoto, abitato da creature dell’abisso che non si vedono ad occhio nudo. Già perché la barca che naviga si spinge a largo dove le acque non sono più chiare e trasparenti. E poi c’è la paura della navigazione: la barca che prende il vento di traverso o di bolina si inclina, a volte moltissimo e il navigatore inesperto avverte un pugno allo stomaco, tremiti di fobia che la barca possa scuffiare che i suoi ospiti possano naufragare. Il mare stesso ed il suo moto ondoso incutono terrore di essere risucchiati, bagnati, trascinati negli abissi.
Il navigatore contatta allora la sua paura primordiale legata al bisogno di sopravvivenza.
Ma come si reagisce alla paura in mare? Abbiamo visto che la prima fonte di paura spinge alla fuga, ma quando si è salpati e ci si trova in piena navigazione, qualsiasi tipo di fuga è inibita: si sta nel mare e la terra è lontana. A volte la meta e la partenza sono equidistanti e si può solo rimanere in contatto con la propria paura ed affrontarla. La seconda reazione provocata dalla paura è l’irrigidimento. Più la barca si inclina, più le onde aumentano, più il corpo si irrigidisce e con questo suo comportamento inibisce i movimenti propriocettivi. Ed ecco che compare il mal di mare.
Il mal di mare altro non è che paura che blocca il corpo, che non riesce più ad adattarsi ai movimenti del mare e  della barca. Non ci sono alternative il navigatore può solo restare in contatto con la sua paura, ascoltarla e cercare di cambiare il suo atteggiamento duro, fisso, rigido per integrarla e agire con essa.
Solo quando si riesce ad agire, pur con la paura, il mal di mare può attenuarsi.
Coloro che hanno dei compiti e si prodigano a compierli riescono a superare il mal di mare, molto prima di chi si rintana in cuccetta o si ferma contando le miglia che lo separano dalla terra ferma.
Anche esercizi di respirazione e training autogeno aiutano a rilassarsi. Ma, come ogni paura, la vera conquista, ciò che davvero aiuta ad integrarla e superarla è l’azione.
Agendo e contribuendo ciascuno con il proprio compito alla conduzione dell’imbarcazione, la paura si trasforma in motore, il corpo si muove e la mente si “distrae” dalle fobie e permette di allentare la morsa della rigidità. Il corpo allora inizia a danzare con il movimento dell’acqua e il mal di mare si affievolisce fino a scomparire. Anche se la paura del mare è come la paura della morte,  a ben vedere questo processo di irrigidimento e di malessere conseguente, accade con tutte le paure che noi possiamo provare nel corso della vita: paura di parlare in pubblico, paura di sbagliare nel lavoro, paura della malattia, paura di interrompere una relazione, paura di lasciare i nostri figli alle loro prime libertà etc. …... Quasi sempre, proprio come in un’imbarcazione, le vie di fuga sono inibite, si sta nel mezzo della situazione,
in mezzo al mare e fuggire non è possibile. Ecco allora, che la paura può,  bloccarci, proprio come avviene al nostro corpo,  che si irrigidisce davanti al moto ondoso. Se restiamo bloccati la situazione che spaventa si impossessa di noi, il blocco ci fa vivere un ‘esperienza terribile, parificabile alla tortura del mal di mare: non riusciremo a parlare in pubblico,  rimanderemo il lavoro, non ci informeremo su tutte le cure possibili, rimarremo fermi in una relazione che ormai non  funziona più, terremo nostro figlio in una campana di vetro  etc.
Ma il mare e la navigazione ci mostrano la via d’uscita: respiriamo a pieni
polmoni, iniziamo a fidarci, guardando un punto cospicuo all’orizzonte, agiamo anche fosse solo per cazzare una vela o passare la  manovella del winch ad un nostro compagno, lentamente le regole del mare si imporranno al nostro corpo che ondeggerà con l’acqua e con la sua paura fino a quando il mal di mare si sarà attenuato e poi scomparirà.
Allo stesso modo, in una situazione di paura, anziché restare bloccati troppo a lungo, respireremo, guarderemo ai nostri punti cospicui interiori (le nostre sicurezze: ad es. sono preparato per parlare o per quel lavoro, so vivere anche senza il mio partner, sono un bravo genitore, ho fiducia in mio figlio etc.) Quindi agisco, faccio anche una piccola cosa insieme alla mia paura, do’ un incipit di azione, fino a quando il rilassamento del corpo non avviene e la paura si sarà trasformata in motore della mia azione (l’adrenalina che ci fa parlare in modo spigliato, l’emozione che ci fa dare il massimo nel lavoro etc).
Per vincere il mal di mare, così come per superare le paure sulla terra ferma il ruolo del comandante è fondamentale così come quello del mediatore che ha di fronte a sé due ex coniugi. Innanzitutto il comandante riporta i passeggeri a capire cosa c’è dietro il loro malessere: la paura del mare, così come il mediatore interrogando i due partner li porta a descrivere cosa c’è sotto la punta dell’iceberg delle loro paure, li spinge con domande aperte e anche dirette a nominare la specifica paura che li irrigidisce dietro  le rispettive posizioni. Quindi entrambi porteranno i compagni di viaggio a respirare profondamente e a rilassarsi di fronte alla parte sommersa dell’iceberg. Una volta dato un nome alla paura, il comandante noterà le specifiche peculiarità degli ospiti, le innate propensioni (vedi capitolo 8) e il mediatore rimanderà, con la tecnica dello specchio, i talenti di ognuno dei due coniugi. Su questa base il comandante affiderà dei piccoli compiti per condurre l’imbarcazione a volte anche affidare il timone a chi soffre di mal di mare può risultare una mossa vincente. Allo stesso modo il mediatore spingerà gli ex coniugi a sperimentare accordi provvisori. Entrambi questi piccoli compiti accenderanno un motore che potrà allentare le reciproche paure e vivere l’esperienza della navigazione così come della separazione  come un viaggio avventuroso in cui le reciproche paure saranno il motore delle successive azioni.

3)    Emozione di rabbia e aggressività: gli spazi ristretti, mediazione del conflitto
La Notte Nell'isola

“Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua
.

Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.

Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.

Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.

Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda
(Anonimo)
L’equipaggio/gruppo su una barca, condivide spazi ristretti, con poca privacy e vive, soprattutto nelle navigazioni più lunghe, un senso dello spazio e del tempo differenti dai contesti abituali.
Lo stare in barca ha uno scopo comune che è quello di arrivare ad una meta o anche quello di vivere l’esperienza viaggio nel qui ed ora.
Se un gruppo che si forma in barca generalmente è caratterizzato dal senso di radicamento, interdipendenza, coesione, definizione di una leadership e socializzazione, non sempre le cose vanno per il verso giusto. Questo è ciò che avviene anche nelle famiglie dove non sempre tutto procede come evoluzione del rapporto e coesione dei vari membri, ma spesso sfocia in squilibri, conflitti, paure che possono portare anche alle separazioni.
Si possono creare atteggiamenti aggressivi dovuti agli specifici caratteri e al fatto che si vive l’esperienza in modo differente, o al fatto che gli spazi di ognuno sono pochi e sempre di scontrano con gli spazi dell’altro.
E’ esperienza costante di tutti gli skipper che una settimana di convivenza su una barca corrisponde ad un anno di convivenza sulla terra ferma. Questo non solo per la vicinanza degli spazi vitali, ma anche per i vissuti che spesso prevedono situazioni di emergenza e di decisioni che ognuno vive portando senza ombre le peculiarità del proprio carattere.
A ben vedere l’equipaggio di una barca può essere parificato ad un nucleo sociale che condivide esperienze forti in spazi ristretti, in primis il nucleo familiare.
Le antipatie e simpatie si vedono subito come se si stesse sotto una lente di ingrandimento, così come le alleanze e i sottogruppi. In pochi giorni si sviluppano meccanismi che in una famiglia potrebbero metterci anni per venire a galla.
Per condurre un equipaggio con questi rischi il comandante, così come il mediatore che accompagna la crisi della famiglia fino alla meta degli accordi separativi, deve essere consapevole delle proprie risorse e delle caratteristiche potenziali del gruppo/nucleo familiare; deve poter monitorare il clima emotivo dei partecipanti, le loro interazioni, i blocchi personali, gli stili comunicativi, l’eventuale impatto su di essi delle dinamiche aggressive e comunque cercare di esplorare i bisogni profondi. Dovrebbe essere molto sensibile e consapevole delle proprie risposte emotive, avere la capacità di entrare in comunicazione empatica con gli altri, possedere l’abilità per sentire il giusto tempo e il giusto modo per intervenire e/o facilitare gli interventi (o, quando ritiene giusto, interromperli) e le interazioni del gruppo, sapersi in qualche modo coinvolgersi e coinvolgere gli altri. Se ci sono tensioni emotive tra due o più membri dell’equipaggio/nucleo familiare il comandante/mediatore può riformulare l’espressione aggressiva rendendola in toni più pacati e dandole una valenza assertiva e positiva.
Il comandante, proprio come il mediatore, è il guardiano del tempo e dello spazio dei partecipanti. Deve essere capace di ascoltare il silenzio, la solitudine e l’energia corporea della natura e trasmetterla al gruppo, come un medium tra cielo e terra. Il processo trasformativo, che conduce il gruppo a un cambiamento evolutivo, è qualcosa di misterioso e magico, che può costituire il punto di arrivo della navigazione/mediazione. Il comandante/mediatore allora dovrebbe esserci e non esserci, intervenire con decisione e sparire magicamente, fondersi e distaccarsi, seguendo l’alchimia drammaturgica del gruppo/coppia. Un equipaggio/coppia pur essendo diretto, soprattutto all’inizio, dal comandante/mediatore, ben presto si configura come un gruppo di pari che sta “sulla stessa barca”, cioè uno spazio possibilità, dove ci sono pure i vari ruoli, ma in comune si ha la chance di esprimere le proprie emozioni gettando via la razionalità e le maschere sociali. Quindi pur partecipando emotivamente, il comandante/mediatore è l’animatore, il moderatore, l’organizzatore e l’interprete di ciò che succede nel gruppo.[2]

4)    Emozione dell’invidia e senso di mancanza delle capacità per navigare.
Ciascuno ha il suo ruolo da imparare per uno scopo comune
L’invidia in mare è un sentimento molto comune: c’è quella nei confronti del capitano e degli altri membri esperti dell’equipaggio e quella di altre imbarcazioni che hanno rotte differenti in posti che non si lambiranno ma che si vorrebbero vedere.
L’invidia del capitano si contrappone all’incompetenza di ciascuno. Vorremmo avere le sue capacità, ma come navigatori inesperti siamo consapevoli delle nostre mancanze e ci arrocchiamo nel “non lo so fare” nel delegare. Il Capitano allora deve essere bravo a spiegare le regole fondamentali per una navigazione sicura cui tutti devono attenersi e affidare a ciascuno, in base alla proprie competenze, dei compiti da svolgere. Deve parlare a tutti in modo chiaro di quali siano le rotte da seguire e le condizioni meteo previste, quali i porti e quali le rade. Anche nei confronti di altri membri dell’equipaggio può svilupparsi invidia, perché magari solo ad alcuni è consentito regolare le vele o stare al timone. Ma la mancanza di competenze non deve tramutarsi in mancanza di responsabilità. Anzi è importante essere consapevoli che nel viaggio le abilità di ognuno sono fondamentali per la navigazione.
Il compito del Capitano allora è quello di restituire al gruppo le loro competenze e le loro abilità nello svolgersi della navigazione.
Anche il mediatore spiega ai mediati le regole del processo (non interrompere, non usare toni offensivi, dare a ciascuno lo spazio per parlare, rispettare i tempi delle sedute, mettere a prova gli accordi provvisori) e restituisce loro le competenze. Proprio come il gruppo in una barca, in cui tutti svolgono dei ruoli fondamentali per la navigazione e per la sicurezza, anche nel percorso di mediazione ogni partner ha le abilità e le responsabilità per raggiungere degli accordi.  I membri dell’equipaggio saranno tentati di delegare al comandante o ai membri esperti, trincerandosi dietro la loro mancanza di esperienza, esattamente come i mediati che cercano di attribuire il compito di dirigere la loro separazione al mediatore. Ma i timonieri della barca, coloro che regolano le vele, che eseguono gli ormeggi sono i mediati, il mediatore come il Capitano deve solo riportare ciascuno ai loro compiti e alle proprie responsabilità.
Abbiamo visto che il secondo tipo di invidia è dato dalle altre possibili rotte che vediamo seguire da altre barche: ciò che manca, ciò a cui si rinuncia. Ma ogni viaggio è bello di per sé, è importante di per sé e non va paragonato a ciò che si lascia a ciò a cui si rinuncia. Ciò che miriamo non deve essere superato da quello che vedremo. In questo senso il Comandante, come il mediatore non lascia divagare gli ospiti/mediati su quello che sarebbe potuto essere se, su quello che avrebbero potuto fare se, su quanto si esplorerà domani. La mediazione come la navigazione rimane ancorata nel qui ed ora, si cerca di riportare tutto nel tempo presente anche i ricordi del passato o le aspirazioni verso il futuro. Quest’ultimo in barca è sempre incerto, per via delle condizioni meteo che repentinamente possono cambiare. Un mare ingrossato, come un improvviso attacco di aggressività, un’assenza di vento come un prolungato silenzio possono obbligare la barca a cambiare destinazione. E’ per questo che non si fantastica su un futuro astratto ma si naviga a vista, proprio come il percorso di mediazione in cui ci si lascia stupire dagli avvenimenti e dagli improvvisi sentimenti per essere guidati verso un accordo che non è possibile definire a priori come quello definitivo e valido, ma sarà sempre sottoposto a dovuta prova.

5)    Emozione della gioia, godere anche del silenzio della natura:  sentimento oceanico
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio in questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
 immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar mi è dolce in questo mare”  (G. Leopardi).

La gioia su una barca è data principalmente dall’essere in connessione con le forze corporee della natura. Quando la barca veleggia e si sta a prua, il suo beccheggio sulle onde ci fa sentire come in groppa ad una cavalcatura alata, il nostro destriero è l’acqua, chi ci conduce il vento. Saper stare in silenzio e ascoltare la forza concreta della natura, sentire il soffio del vento, la salsedine del mare sulla pelle, percepirne i profumi sono sensazioni reali, che ci conducono verso un rilassamento intenso. Lo sguardo spazia fino all’orizzonte e si perde nella bellezza di baie e grotte, nei colori inverosimili delle acque lì dove sono più
 chiare, nei colori intensi dei tramonti e più dolci delle albe, nell’infinito del cielo stellato ed in variopinti arcobaleni quando smette di piovere.
La gioia allora è ascolto, è armonia e porta i navigatori a sentirsi in pace con la natura. Più si diventa esperti nella navigazione più la gioia si manifesta nelle manovre più difficili o nelle andature di bolina che sbandano ed inclinano la barca. Ma per raggiungere la pace il vero segreto, conosciuto dai navigatori solitari, è il silenzio. Anche i gruppi in barca lo conoscono, soprattutto quando la navigazione li ha stancati e la sera insieme ad un tramonto o di notte sotto il cielo stellato stanno in silenzio a riposare assorbendo le emozioni della navigazione.
Anche in questo caso è importante che il comandante sappia educare gli equipaggi al silenzio e sappia esso stesso stare in ascolto.
Il silenzio del mare è un silenzio vigile per il comandante, un fruscio differente, lo stridore di una cima di ormeggio, il rumore della catena possono essere indici di qualcosa che non va: l’ancora che speda, l’ormeggio che non tiene. L’ascolto diventa quindi allenamento per rendere sicura la navigazione. L’ascolto diventa necessario ed essenziale. Come per il capitano di una barca anche per il mediatore il silenzio è fondamentale, si può dire vitale. Un orecchio educato all’ascolto percepisce quindi le vibrazioni e le emozioni che ci stanno dietro e riesce delicatamente a farle venire fuori.
Anche nell’emozione della gioia il comandante può essere paragonato al mediatore, che rispetta i silenzi della coppia, li ascolta percependo con il suo intuito i rumori sottostanti. Riconoscendoli e nominandoli con il refreming, da’ sollievo alle parti, le porta ad esprimersi, e a godere della liberazione di rumori/sentimenti nascosti.
Il silenzio in mediazione è come il “ruscio” del mare: parla all’orecchio del mediatore, egli lo ascolta lo rispetta e alla fine lo traduce. Bisogna stare con esso, senza paura del vuoto, il mediatore come il comandante lo deve accogliere come una benedizione, un sentimento che lo collega al mare,  all’inconscio alla pace interiore.
Per i mediati la gioia si ha quando riescono per la prima volta a connettersi su una lunghezza d’onda comune ed anche loro ci riescono se sono stati educati al reciproco ascolto. La gioia è quella allora di una nuova comunicazione, di un accordo preso, di un sentirsi un tutt’uno con il loro mare e cioè con le emozioni comuni rispetto alle preoccupazioni, gioie e dolori verso i loro figli. Lo scoprirsi uniti con il mare ci dà la sensazione di essere fatti di una materia con differente consistenza di quella abituale, proprio come i coniugi che si riscoprono su un nuovo terreno comune: quello di una coppia genitoriale e non più coniugale.
L’esito del sentirsi in comunione con la natura è il sentimento oceanico[3], che molti navigatori solitari, anche se non tutti, riescono a provare, cioè un sentirsi un tutt’uno con la natura senza più percepire i confini tra sé e il resto del mondo. Il sentimento oceanico è quello che le principali religioni considerano la comunione con dio, la perdita totale dell’ego e il confondersi con il tutto.
Anche i mediati a volte, non tutti, possono arrivarci, pur essendo partiti dalla paura e dall’aggressività. Pur avendo iniziato con l’affrontare” il mal di mare” possono sfiorare il sentimento oceanico quando trovano degli accordi ma soprattutto riscoprono l’altro come non diverso da sé ma accumunato dalle stesse emozioni e sentimenti, l’altro come genitore al pari di sé stessi.

6)    Emozione della tristezza: ritorno al porto

Casa Sul Mare
ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
le marine che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
M (Eugenio Montale)

Abbiamo visto come entrare su una barca significhi entrare in una dimensione unica, di differente consistenza, che prepara uno spazio interiore pronto a vivere le diverse emozioni che si specchiano con i vari moti del mare. Adesso esploreremo l’emozione del viaggio che finisce, della barca che entra nel porto e ormeggia. I passeggeri scendono, il loro viaggio è finito. Scendere da una barca, come ogni viaggio avventuroso che finisce, lascia il sapore della morte, anche se ogni morte è propedeutica ad una rinascita: ci ritroviamo ad essere come nuovi grazie all’esperienza vissuta.
Il sentire del passeggero di una barca appena arrivato a terra è particolare perché il suo corpo continua a fare i micro movimenti tipici del piede marino anche quando non c’è più dondolio da contro-bilanciare e questo genera una visione artefatta delle cose: sembra che gli oggetti intorno si muovano. Si chiama mal di terra e può continuare per diverse ore, anche giorni dal ritorno sulla terra ferma.
La tristezza è una privazione di ciò che ci dà gioia: il viaggio, la condivisione, i nuovi legami stretti nel gruppo, ma è allo stesso tempo ciò che scava la buca per contenere futura gioia. La tristezza è senso di separazione dagli altri, dai compagni di viaggio, ma anche dall’ambiente/barca che ci ha condotto e cullato. La fine di un’esperienza conclusasi felicemente è sempre dolorosa.
Anche i mediati alla fine del percorso, verosimilmente proveranno lo stesso dolore di lasciare l’ambiente protetto in cui è stato di nuovo possibile dialogare e accordarsi e sentiranno quel senso di smarrimento che prova chi tocca la terra ferma dopo tanto tempo.
Sia per superare il mal di terra sia per tranquillizzare gli ex coniugi della tenuta degli impegni assunti si possono programmare altre sedute di collaudo degli accordi presi o lasciare la possibilità di fare ritorno per una revisione o un controllo degli accordi assunti.

7)    I sensi e il mare. Il navigare e il sentire nel corpo. Il mare come concretezza del sé e sua metafora
“Anima dell’uomo come somigli all’acqua!
Destino dell’uomo come somigli al vento!” (J.W. Goethe)

I sensi sono l’essenza del mare, rispecchiano il mare e sono attivati da questo in modo esponenziale. Il mare lo si può ascoltare con il suo fragore, sentirne il sapore salato in bocca, sentirsi avvolgere da esso in tutte le parti del corpo, al punto che il mare ci dona consapevolezza della nostra identità corporea. Il mare, i suoi scogli, le rade, le grotte e i paesaggi stordiscono la vista. Insomma tutti i sensi sono attivati quando si va per mare.
Il fatto di navigare con la vela, fa sì che tutto il corpo sia impegnato nei movimenti, non solo per tenere l’equilibrio nella posizione di “grounding”, come già visto, ma proprio nelle azioni che servono per condurre l’imbarcazione. Muovendosi si sentiranno le tensioni intrappolate nel corpo e dovendo ognuno svolgere i propri compiti per navigare col vento, le tensioni saliranno a consapevolezza e possibilmente saranno sciolte per poter procedere.
Colui che naviga non guarda solo la rotta, l’orizzonte e l’infinita distesa d’acqua, ma ha anche lo sguardo volto dentro se stesso nell’inconscio, proprio come la barca che affonda nel mare con la chiglia che non a caso è la parte dell’imbarcazione che fa mantenere l’equilibrio e traccia la rotta. Anche il navigante ha la sua personale chiglia rivolta al suo inconscio come punto di osservazione interno.
Sono tante le metafore del mare: prendere il vento significa prendere le occasioni al volo, mirare l’orizzonte e guardare al futuro, governare l’imbarcazione è essere al timone della propria vita, assumendosi la responsabilità della direzione che gli si dà.
Come abbiamo visto prima il mare simboleggia e attiva la connessione con le proprie emozioni e sentimenti: la paura, la rabbia, la gioia ed il dolore.
L’equipaggio poi ha le caratteristiche proprie di un gruppo che fa un percorso evolutivo: sarà necessaria una forte leadership per evitare gelosie invidie, che naturalmente possono generarsi in un gruppo, ma anche tensioni aggressive. Il ruolo del capitano/mediatore è fondamentale per governare la barca , ma anche il gruppo sciogliendo le tensioni per arrivare alla sua armonizzazione. A questo scopo sono efficaci i compiti che a ciascuno vengono dati, nella consapevolezza che ciascuno di questi è fondamentale per l’obiettivo comune di navigare, raggiungere una meta e farlo in sicurezza.
Con il mare si lotta e poi ci si arrende, riconoscendo la sua forza esattamente come nella vita, in cui si agisce si lotta e poi alla fine della giornata ci si arrende al sonno.
Cercare qualcosa all’orizzonte significa cercare se stessi e ciò che ci appartiene di più.

8)    Posti e ruoli in barca e l’enneagramma:
“Uomo libero,  tu amerai sempre il mare.
Il mare è il tuo specchio:
tu contempli la tua anima nell’infinito travaglio
delle sue onde,
e il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Tu ti compiaci nell’immergerti in fondo alla tua immagine;
lo abbracci con gli occhi e con le braccia,
e il tuo cuore dimentica
qualche volta i propri palpiti
al suono di quel lamento indomito e selvaggio.

Siete l’un l’altro cupi e tenebrosi,
O uomo nessuno ha penetrato i tuoi potenti abissi;
o Mare, nessuno conosce le tue nascoste ricchezze,
gelosi come siete di custodire i vostri segreti!

Eppure voi vi combattete da innumerevoli secoli
Senza pietà, né rimorso
Tanto amate la strage e la morte,
o eterni lottatori, o implacabili fratelli” (C. Baudelaire. I fiori del male).

Abbiamo visto, nel capitolo 3, che il comandante deve essere consapevole delle risorse e dei temperamenti dei singoli membri dell’equipaggio, per assegnare a ciascuno compiti a loro adatti e mediare così il possibile conflitto e/o pulsioni aggressive che possono manifestarsi in un gruppo. Un aiuto particolare può essere dato dalla conoscenza dell’enneagramma. Tanto più che, come esporrò in questo capitolo, ad ogni carattere si addice una posizione in barca o compito adatto alle peculiarità di quel dato tipo di carattere.
L’1 è il Comandante o chi ne fa le veci: controllato, educato, perfetto. Gli è congeniale una posizione di potere. È un ottimo professionista ed organizzatore. E’ convinto di sapere come le cose vanno fatte. E’ pignolo e meticoloso (con le regole di sicurezza per esempio, il rispetto dei venti e delle norme di navigazione). Lui sa che, se è lì vigile al comando, le cose funzionano, altrimenti no. Ed è proprio così. E’ inflessibile con sé stesso, sa stare al timone per ore intere, senza cederlo al suo secondo, in caso di mare avverso. Utilizza la parola per imporre le sue norme (dà i comandi al resto dell’equipaggio). Potrebbe essere carente di pazienza ed adirarsi quando in momenti concitati, come l’ormeggio, qualcuno sbaglia o non esegue il suo comando. E’ competitivo e in una regata vuole vincere.
Se il carattere normativo è proprio di un membro dell’equipaggio che non è il reale comandante dell’imbarcazione, questi starà comunque vicino al capitano, rimanderà agli altri i comandi del primo e otterrà ben presto che gli sia affidato il timone dell’imbarcazione.
Il capitano/mediatore saprà che ad un carattere normativo può dare compiti di grande responsabilità, come appunto timonare. Se le sue competenze sono buone alla fine della navigazione potrà svolgere compiti primari anche nelle manovre più complesse come l’ormeggio o la presa di gavitello.
Posto in barca: il timone e l’area delle manovre.
Il 2 è la perfetta hostess. Lavora tantissimo senza farlo trasparire; anche un semplice aperitivo lo rende qualcosa di coreografico e delizioso. Coccola ed è generosa, perché a sua volta vuole essere coccolata, dal comandante in primis. La sua è una falsa generosità perché quello che fa (le prelibatezze che escono dalla sua cucina) servono a darle l’attenzione di tutti. Si rende indispensabile: non dirà agli altri quali sono i gavoni che contengono la cambusa, farà tutto lei da sola. E’ la perfetta hostess, quindi aiutante del capitano e vuole che gli altri rimangano a bocca aperta, per quanto svolge bene il suo compito. Ha un talento artistico, che come dicevo, in barca, utilizza per rendere, oltre che buoni, coreografici i piatti che prepara per tutti. Nella seduzione è molto selettiva ed il suo primo obiettivo e di colpire il comandante, che è la persona più importante in barca. Non mostra debolezza ed anche se il mare impedisce a chiunque di scendere in dinette, per il mal di mare, il 2 scende lo stesso e lavora comunque, senza mostrare mai la debolezza, ovvero il fatto che anche lei in date condizioni può soffrire il mal di mare.
Il suo posto in barca è tra cucina e dinette dove c’è la cambusa.
Il 3 è  il vicecomandante e il radarista di bordo.
Innanzitutto l’abbigliamento del 3 sarà il più impeccabile: cerata, scarpe da vela, guanti da vela con le dita forate, con colori intonati al mare bianco e blu per esempio. E’ attratto da tutto ciò che è tecnologico in barca: radar, gps, strumenti di navigazione e rilevamento elettronici. Si appassionerà ad essi e ben presto sarà bravissimo a tracciare le rotte e individuare le secche dai computer di bordo. Può essere il professionista dell’armonia. Ha bisogno di gratificazioni, di sentirsi dire quanto è bravo nel suo compito di addetto alla strumentazione elettronica.
E’ bravo a fare tante cose contemporaneamente e ad incastrarle armonicamente tra loro. Non è mai superficiale in quello che fa, ha grande senso di responsabilità nello svolgere il suo compito. E’ bravo a gestire il denaro e a lui verrà affidata la cassa comune dell’equipaggio. Nel suo compito deve primeggiare, si arrabbia se altri organizzano per lui. Quindi cercherà di creare sempre armonia nell’equipaggio mediando tra chi vuole scendere in un porto e chi vuole restare in rada, organizzando escursioni e tempi, condizioni meteo permettendo. Nella sua opera di armonizzare le differenze a bordo, cela la propria rabbia.
E’ attratto dalla strumentazione elettronica, perché è tecnologico ed è amante del pensiero logico.
Sulla navigazione, sulle rotte, l’individuazione degli ostacoli, nella navigazione notturna dove il radar è fondamentale il 3 è il perfetto Vice Comandante. Se crolla il suo ruolo andrà in crisi. Il Comandante/mediatore deve attribuirgli la dovuta importanza nell’organizzare il viaggio, perché viceversa il 3 potrebbe andare in crisi. Il suo posto in barca è seduto sulla tuga da cui domina e si può mostrare nel suo splendore e alla strumentazione elettronica.
Il 4 è l’animatore del pozzetto.
Vuole l’attenzione di tutti e racconta le sue precedenti esperienze di viaggio, meglio se in barca, con fare drammatico e coinvolgente. Anela ad andare lì dove il vento non lo consente. Si lamenta con tutti del fatto che si è dovuto saltare il tramonto alle grotte o l’aperitivo nel paesino caratteristico. E’la sua fame di amore e di desiderio difficile da sfamare. E’ malinconico, ha grande drammaticità e intensità nei sentimenti e nelle emozioni e così dipingerà i luoghi appena lasciati con la sua arte di colorare il vissuto di colori e di emozioni. E’ quello che piangerà nel salutare tutti alla fine del viaggio. I porti lasciati sono sempre i migliori: è nostalgico. Con gli altri risulta perdente e non si cimenta nelle manovre nautiche, in compenso risalta su tutti con il suo abbigliamento sgargiante ed originale. Odia la banalità. Ama le cose complicate e quando il 3 cerca di organizzare il 4 vorrebbe fare qualcosa di più originale e diverso, è difficile metterlo d’accordo con gli altri. Non ha paura delle emozioni forti anzi le cerca e quindi se si deve procedere con burrasca si diverte. E’ affascinato dal diario di bordo e descrive il viaggio con poesie e poemi. Il comandante farà bene ad affidare al 4 il diario di bordo, uscirà uno scritto bellissimo colorato e pieno di poesia. E’ anelante, continua a chiedere dove si andrà, anche se in barca non è facile prevederlo. Il comandante dovrà spiegarglielo con fermezza altrimenti gli provocherà delle aspettative, che se deluse potrebbero diventare per il 4 una tragedia e rovinare l’armonia creata dal 3. E’ possibile che un 4 venga in barca con un partner quasi in crisi e di solito la barca getta luce chiara nelle ombre in cui il 4 sguazza nella sua quotidianità. Da questo punto di vista, per lui può essere terapeutico un viaggio in barca. Così come colora il vissuto, tende a lamentarsi spesso se qualche sua aspettativa resta delusa. Il suo posto è il pozzetto, che per lui diventa un palcoscenico in cui inscenare le sue mirabolanti visioni di quanto ha appena vissuto e di ciò che si accinge a vivere. Avrà sempre aneddoti più vivaci con cui raffrontare il viaggio in corso.
Il 5 l’addetto alla navigazione astronomica notturna.
Il 5 come carattere è avaro di sé e sarà un’impresa per il comandante coinvolgerlo nel gruppo. E’ attaccato al suo piccolo mondo interno e se ne starà isolato in cuccetta a studiare per le sue passioni. Ha paura di darsi, di essere invaso di essere defraudato di quel poco che pensa di avere. Si sente meschino ed è solitario. E’ fissato con l’indipendenza e minimizza i suoi bisogni. Analizza tutto. Ha un mondo di ricerche interne, ma fuori non traspare. Si sente a disagio a parlare insieme agli altri, quando parla ci mette molto ad esprimersi. Ha paura del contatto. Può stringere amicizia al massimo con una persona del gruppo, che alla fine della vacanza saprà tutto di lui. Quando finalmente si farà conoscere si scoprirà che ha un modo meraviglioso all’interno di lui. Quando il comandante/mediatore scoprirà un cinque potrà affidargli il sestante e spiegargli la difficile navigazione astronomica, con il rilevamento degli astri e i complicati calcoli delle effemeridi per tracciare manualmente il punto nave e la rotta. Potrà affidargli il suo manuale che in silenzio studierà tutto e supererà perfino il suo insegnante nei calcoli. Per coinvolgerlo potrà proporre la navigazione notturna con il sestante e così mentre tutti dormiranno il 5 potrà accompagnare il capitano in un avventuroso e affascinante viaggio notturno studiando e navigando grazie alle costellazioni in cielo. Il resto dell’equipaggio non si accorge di lui, ma poi resterà stupito di sapere che proprio lui gli ha condotti nella navigazione più difficile, quella notturna. In questa navigazione solitaria finalmente il 5 si può rilassare e godere l’esperienza.
Il 6 è l’enciclopedia vivente del mare
 Sappiamo che il sei è un carattere iper difensivo. Cerca di sconfiggere la paura razionalizzando. E la paura in mare la fa da padrone: la barca si inclina e il 6 chiederà al capitano la legge in base alla quale galleggia e la formula in base alla quale non scuffia; c’è il mal di mare e il 6 avrà studiato il perché insorge e tutti i metodi scientifici e d’esperienza per fronteggiarlo: avrà i braccialetti, i medicinali, di cui conoscerà anche le controindicazioni e saprà a mena dito tutti gli accorgimenti che utilizzano i pescatori: frisa o pane raffermo con alici e ricotta forte. Il sei è così preso dai suoi pensieri che sarà distratto rispetto alla vita di bordo: se ne starà a leggere il portolano, che spiega la costa e le insidie del mare o a leggere il manuale velico di base. Cercherà sui manuali i pericoli ed il modo di prevenirli. Il sei ha un desiderio profondo di rassicurarsi. Anche se ha paura di dare fastidio interrogherà spesso il comandante proprio per essere tranquillizzato da lui. Alla fine il comandante cederà al sei il portolano e gli chiederà di studiare le insidie del prossimo porto o rada e di riportargliele fedelmente in modo da prepararsi all’ormeggio e all’ancoraggio. Ciò nonostante il 6 resterà sempre inquieto e si rasserenerà solo quando avrà avuto la prova di aver fatto bene qualcosa. Al sei il comandante dovrà dare molti compiti per sedare la sua inquietudine e dovrà gratificarlo verbalmente per fargli superare la sua sfiducia in sé.  Nonostante il 6 sia quello che riceve più compiti, penserà sempre di non aver fatto abbastanza. E’ logorroico e questo potrebbe infastidire il gruppo ecco perché il comandante darà lui molti compiti. In barca qualcosa dovrà essere lasciata al caso necessariamente, se non altro perché il vento e le condizioni meteo non sono sempre prevedibili, anche se il sei cercherà sicurezza anche in questo. Anche per il sei come per il 4 la navigazione può essere terapeutica per il fatto che in parte bisogna abbandonarsi al caso, proprio ciò che al 6 fa più paura. Il 6 si aspetta sempre una tempesta o una tromba d’aria solo perché se dovesse arrivare è già pronto. Le sue paure e la sua rabbia la spiega a tutti e tiene in gran conto la gerarchia. Si lascerà pertanto guidare dal capitano e accetterà sempre le sue direttive. Il suo posto in barca è nel pozzetto e mentre il 4 scriverà il diario di bordo lui studierà e poi racconterà a tutti quello che c’è scritto sul portolano: che è la guida del mare.
Il 7 è il principe della prua.
Appena sale in barca il 7 si entusiasma di tutto, della nuova location della prospettiva della vacanza, delle nuove conoscenze, dei posti splendidi che si vanno a visitare. Inizialmente si presta a fare tutto, poi quando l’esperienza rischia di coinvolgerlo troppo si trova il suo posto in barca: la prua dove può sdraiarsi e prendere il sole lontano dal gruppo. Questo perché è un carattere che sfugge. Sfugge sia facendo mille cose, sia appartandosi a prua dove può solo godere dell’esperienza ma non viverla appieno insieme agli altri.
Se le donne/uomini lo vanno a trovare lì si diverte a flirtare. Visto che la vacanza è breve potrà anche avere una storia con qualcun* dell’equipaggio. Quando i compiti che all’inizio si era fatto dare non gli piacciono più li abbandona rifugiandosi a prua. L’idea di impegni a lungo termine non gli piace affatto. Fa l’amicone di tutti, ma poi non stringe rapporti profondi. Se ne va a prua anche per ricaricarsi e la solitudine che di solito c’è in questo posto della barca è perfetta allo scopo. Se il Comandante lo richiama ai compiti, con molta diplomazia disattende alle sue direttive. Ritorna con gli altri quando si fanno aperitivi, pranzi e cene sempre che il 2 non sia così splendido da non portargli il suo piatto a prua.
L’8 è il pescatore.
Il suo posto è il pulpito di poppa, dove potrà sistemare tutta la sua attrezzatura di pesca, inserire le rapale e tentare la pesca alla traina. Egli pescherà anche da fermi con tecnica di lenza e di lancio. E’ attratto dalle esperienze intense, anche dal dolore. Il massimo per lui è pescare e obbligare tutti a rallentare l’andatura e a partecipare alla sfida tra lui e il pesce fino ad averlo trascinato in barca. Se pesca sarà lui stesso ad uccidere il pesce, riempirà tutto di sangue e si lascerà aiutare dal 9 per pulire. Nella pesca non si fida di nessuno: solo lui potrà manovrare la complessa attrezzatura che si è portato dietro. Se c’è un vegetariano in barca che lo prega di interrompere la sua attività sanguinaria potrà anche fare la voce grossa, così come con chi gioca con la sua attrezzatura. Non tollera coloro che cercano di fermarlo. Non ha paura delle emozioni più forti e si sporca le mani con i sentimenti estremi. Ecco perché gli piace la lotta con un altro essere: in questo caso le creature del mare che cerca di uccidere. Odia le regole, lui stesso è la regola e se pesca la barca si deve fermare per portare a bordo con il retino la grossa conquista di battaglia. Ama stare al centro dell’attenzione anche se in modo grezzo: ecco perché quando pesca è sprizzante di gloria e di gioia. Crede che la lotta aiuti a crescere. Se qualcuno è ribelle e forte come lui, potrà insegnargli tutte le strategia di pesca e ammetterlo nel suo regno. Il Comandante quando si accorge di avere un 8 a bordo, se non ce l’ha, gli metterà a disposizione tutta la sua attrezzatura compresa la canna per la traina.
Il 9 è il servitore del posto del giacchè.
Il posto del giacché è quello del pozzetto più vicino al tambuccio che porta in dinette. Chi si trova lì è investito da continue richieste: “giacché sei lì mi prendi…..? Giacché sei lì puoi portare giù ….?”. Il 9 si trova a suo agio lì perché gli piace fare un sacco di cose per gli altri, non gli pesa, lo fa con piacere, non sente il sacrificio. Si adatta subito, difficilmente si lascia andare al mal di mare, anzi aiuta chi ne soffre, porgendo e lavando il secchio usato da chi è stato male. Non ha richieste particolari su dove andare e cosa fare, si fa contento per qualsiasi cosa, si adatta alle scelte del gruppo. E’ un ottimo gregario del capitano in questo, perché non frappone mai esigenze personali, ma contribuisce in modo forte al benessere di tutto il gruppo. Il comandante, vista la sua disponibilità, gli darà compiti importanti che lui svolgerà mantenendo un basso profilo. Certo è così propenso al servire gli altri e a svolgere bene i suoi compiti che sarà difficile per lui stesso sapere ciò che vuole veramente, ciò che è veramente. E’ gioviale e sta bene in compagnia, ma si dimentica di sé. Dovrebbe lavorare sul guardarsi dentro, prendere la posizione della chiglia che ha sempre un punto di osservazione introspettivo. Il comandante, con cui sarà entrato subito in empatia, potrebbe suggerirgli questo posto anziché quello prediletto del giacché. Se nel gruppo si crea una qualche tensione il 9 interverrà per pacificare e se a qualcuno non va di compiere un ruolo scomodo pur di pacificare si offrirà a compierlo lui.
9)    Navigazione lunga e genogramma
“Come si può capire qualcosa della vita e capire a fondo se stessi, se non lo si è imparato dal mare? Come si può comprendere gli uomini e la loro vita, il loro vano sforzarsi e il loro inseguire mete bizzarre, prima di aver spaziato con lo sguardo sul mare, che è sconfinato e basta a se stesso? Prima di avere imparato a pensare come il mare e non come quelle inquiete paure che si illudono di dover sempre avere una direzione e che questa sia la cosa più importante di tutte, che la meta dia un senso alla loro vita. Prima di avere imparato a lasciarsi portare dal mare, ad abbandonarvisi completamente e a non preoccuparsi più di niente, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto, di peccato e di colpa, di verità e di menzogna, di male e di bene, di salvezza e di grazia,  e di perdizione eterna, del Diavolo e di Dio e dei loro inutili diverbi. Prima di essere diventati indifferenti e liberi come il mare e di lasciarsi portare alla deriva e senza meta, nell’ignoto, abbandonandosi completamente all’ignoto, all’incertezza, come unica cosa certa, l’unica veramente sicura alla fine. Prima di avere imparato tutto ciò. Si il mare può insegnarti molto. Può renderti saggio. Se è questo che vuoi. Può insegnarti a vivere…..
E scegliere il mare, il mare incostante, sconfinato, sconosciuto, è un viaggio senza fine e senza una meta precisa, senza meta ….. (P. Lagerkvist. Il Pellegrino sul Mare).

Se al gruppo che forma l’equipaggio si prospetta un viaggio che sia anche interiore e nel proprio inconscio, si potranno sfruttare le lunghe ore di navigazione d’altura (in alto mare) per svolgere a turno il “gioco” del genogramma. Il genogramma è una visualizzazione grafica delle relazioni familiari di un soggetto e della sua storia . Non si tratta di un semplice albero genealogico tradizionale. Infatti il genogramma consente di visualizzare i modelli ereditari e i fattori psicologici che caratterizzano i rapporti familiari. Il genogramma viene utilizzato per identificare i modelli di comportamento ripetitivi e riconoscere tendenze ereditarie.
Si chiede ad ognuno di disegnare il proprio albero genealogico fin dove conosciuto.
Si useranno dei simboli: un cerchio per indicare le donne e un quadrato per indicare gli uomini, le coppie sposate saranno congiunte da una linea retta, tratteggiata se solo conviventi. Accanto a ciascun elemento del genogramma si indicherà l’età, se non più in vita invita lo si indicherà con una croce e l’età della morte. Si useranno dei simboli per connotare ciascun elemento, che richiamano il loro lavoro o una peculiarità del loro carattere. Si indicheranno patologie, malattie e dipendenze di ciascun membro. Se alcune coppie sono separate o alcune famiglie ricostruite lo si indicherà con altri simboli, come una x per le coppie separate e nuovi cerchi o quadrati per le famiglie ricostruite.
Si ripeterà lo schema sia per il ramo paterno sia per il lato materno, mettendo il primo a sinistra ed il secondo a destra. Si partirà dagli avi più antichi di cui si ha qualche ricordo o racconto (disegnati in basso) e si procederà via via verso l’alto fino a se stessi e all’eventuale nucleo familiare che ciascuno ha già costituito.
Quando tutti avranno completato il genogramma, si chiederà a turno di raccontarlo. Il capitano/mediatore in questo caso spingerà ciascuno, con domande aperte, a raccontare ed eventualmente a inventare con la fantasia lì dove non ci sono ricordi o racconti. Senza intromettersi nel racconto, lo faciliterà con interrogazioni aperte o rispecchiando sentimenti ed emozioni velate. Potrà avvalersi anche delle metafore del mare, dei venti e della navigazione per portare a consapevolezza sentimenti non espressi verbalmente ma solo con la comunicazione indiretta. Quando sarà finito il racconto anche gli altri membri dell’equipaggio potranno partecipare riformulando o riassumendo passaggi importanti, o rispecchiando altre emozioni rimaste latenti. Il tutto al fine di agevolare la presa di consapevolezza che la rotta della vita di ciascuno trova la sua origine dai viaggi precedentemente svolti dai propri antenati o da altri membri della propria famiglia, che lo strumento su cui navigano è composto da forme e materiali che si è avuti in eredità e che la loro conoscenza aiuta a tracciare la personale rotta di ciascuno. Lo strumento del genogramma aiuta anche le persone costituenti il gruppo a conoscersi meglio fra loro, ad empatizzare e a sentirsi facenti parte di un unico gruppo con un solo scopo navigare insieme verso una meta che non è solo fisica ma anche interiore. Il passato, infatti, ha la stessa consistenza di un sogno. “Si tratta di manifestazioni che non hanno bisogno di una spiegazione razionale. Può essere sentito in modi diversi a seconda del nostro livello di coscienza. Se aumenta il livello di coscienza, il significato del passato cambia. Come l'albero si giudica dai frutti, se i frutti cambiano, anche l'albero cambia. Pertanto, siamo in grado di guarire il nostro passato, capirlo meglio. I nostri nonni, bisnonni e trisnonni soffrono le loro disgrazie dentro di noi; se noi ci realizziamo, i nostri antenati, dentro di noi, si realizzano e facendolo si uniranno al nostro livello di coscienza”[4]. L’albero genealogico è un lavoro psicologico: è in grado di chiarire il passato per arrivare a quello che siamo veramente[5]. Il lavoro sul genogramma parte dal presupposto dell’esistenza di un inconscio collettivo, la cui metafora come abbiamo visto in precedenza, è il mare.  L’inconscio familiare e il patrimonio psicosociale, sono come correnti che viaggiano nell’inconscio collettivo, il mare, che si trasmettono di generazione in generazione, visibili dai fatti o modelli comportamentali che si ripetono. Visualizzare tre generazioni, i fatti della loro vita, la temporalità, i ruoli dei singoli elementi (genitoriale, coniugale etc.), l’interazione con i sistemi sociali più grandi (religioso, scolastico, culturale dominante etc.) aiuta a diventare più consapevoli del meccanismo di trasmissione, a mettere in discussione i calchi, ad aumentare le capacità e possibilità di scelta, tra ciò che si vuole mantenere e ciò che si vuole modificare, a favorire l’ampliamento della visione, in modo da tarare la traiettoria del cambiamento, avendo presente il tesoro di partenza e l’eredità futura, che si lascia ai propri discendenti. Il comandante/mediatore potrà aiutare chi lavora sul genogramma a mettere la lente d’ingrandimento sui divieti e permessi che caratterizzano il genogramma e che passano di generazione in generazione attraverso una sorta di contratto/copione da realizzare nella futura generazione. Potrà spiegare cosa sono le sostituzioni e/o i prolungamenti che i genitori “impongono” ai figli per poterle riconoscerle e leggerle nel proprio genogramma[6].


10)  Albe, tramonti e immaginate con i 4 elementi (acqua, terra, fuoco ed aria)
“Arancione, oro e verde scintillavano sul mare... l’acqua brillava di fuochi ultraterreni,
il silenzio incorniciava quella magica visione, un silenzio che dava agli uomini l’idea d’esser sordi,
i sensi rapiti da quello scenario meraviglioso… “(Wilbur Smith)

Ci sono momenti durante un viaggio in barca a vela, in cui la bellezza della natura è
 talmente forte che spontaneamente si crea silenzio tra l’equipaggio e predisposizione a godere dell’ascolto, della vista e delle sensazioni che la natura offre. I tramonti e le albe di sole nel mare sono spesso spettacoli mozza fiato. Le nuvole in cielo si colorano di rosso, arancione e viola, la palla infuocata scende nel mare o s’alza da esso e lo sguardo può spaziare su tutto l’orizzonte che rimane libero e aperto, come ormai l’occhio umano non è più abituato a fare, vivendo in città.
Già assistere a questi spettacoli è una meditazione di per sè.
Il comandante/mediatore può sfruttare questi momenti di magia per invitare il gruppo, che accetterà facilmente dato l’attimo speciale che sta vivendo, a restare in ascolto e a partecipare a delle meditazioni e/o immaginate guidate.
Stando a contatto con i quattro elementi, basterà ottenere il silenzio e il rilassamento, magari ad occhi chiusi, dopo che il sole è scomparso, lasciando il posto alla prima stella della sera.
Si inizia con 9 respiri profondi: i primi tre per visualizzare con l’inspiro e lasciare andare con l’espiro le tensioni del corpo, i secondi tre per fare altrettanto con le emozioni , gli ultimi per lasciare volare i pensieri come nuvole sospinte dal vento.
Mentre si continua a respirare, si invitano i membri del gruppo a connettersi con l’energia dell’acqua ascoltando il suo fruscìo e sentendo l’emozione che essa sprigiona, poi ci si immaginerà la terra vicino alla quale si è attraccati che dà protezione alla barca e agli animali che la ospitano, connettendosi al cinguettio degli uccelli che a quell’ora tornano ai nidi. Quindi si inviteranno tutti a connettersi con il fuoco del sole che li ha appena salutati e con la sua energia di azione, infine ci si connetterà con l’aria e la si sentirà sulla pelle che soffia leggera o impetuosa di vento.
Quando il rilassamento e la connessione sono avvenuti, si invitano i membri del gruppo ad immaginare di tuffarsi in mare e  contando a ritroso da 21 a 0, di arrivare in una grotta sottomarina. Qui potranno accadere varie cose:
1)    Nella grotta c’è una porta, ciascuno la apre e dietro di essa ci sarà una persona (l’aiutante) la si visualizzerà e le si chiederà chi è e come ci aiuterà, come si prenderà cura di noi e come potremo ricontattarla quando ne avremo bisogno. Si lasciano alcuni minuti per ascoltare le risposte e poi si accetterà dall’aitante un amuleto per protezione. Ci si congederà da lui, si uscirà dalla grotta e contando da 0 a 21 si ritornerà lentamente sulla barca e quindi nel proprio corpo fisico.
2)     Nella grotta c’è uno scrigno, ci si avvicina lentamente ad esso e lo si apre con un’antica chiave. Dentro lo scrigno c’è una pergamena su cui sono scritte 5 parole che sono i talenti di ognuno. Si lasciano alcuni minuti per leggerli e poi si rimetterà a posto la pergamena nello scrigno e contando da 0 a 21 si farà ritorno, come sopra.
3)    Nella grotta c’è una porta al di là della quale c’è una scala, scendendola si va indietro negli anni, fino ad avere 8 anni. Si entrerà in una stanza segreta e qui si potranno incontrare i propri genitori da giovani, li si ringrazierà dei doni che hanno lasciato in eredità spirituale nominandoli e si dirà loro come ciascuno sogna di utilizzarli per la sua vita futura di adulto. Si dirà ai genitori cosa si vuole essere e cosa si vuol fare da grandi e gli si chiederà il loro sostegno. Ci si accomiata da loro e si risale la scala. Una volta chiusa la porta della grotta, contando da 0 a 21 si farà ritorno sulla barca.
4)    Nella grotta c’è uno schermo ci si accomoda su dei grandi cuscini e si aziona un proiettore che farà vedere la vita futura di ognuno. Anche qui come sopra si ritorna nel corpo fisico.
Questi sono solo alcuni esempi di immaginate che si possono fare sfruttando quei momenti di verde rame propri degli attimi magici che separano il tramonto dalla sera. Alla fine delle immaginate chi vuole può condividere col gruppo le  proprie emozioni  e in genere l’esperienza appena vissuta.
A chi, invece, trova piacere a svegliarsi presto la mattina, il Comandante può proporre di fare insieme i cinque tibetani.
 I "Cinque Tibetani" sono un gruppo di esercizi di genuina integrazione psico-fisica descritti nel libro omonimo, scritto da Peter Kelder ed edito in Italia dalle Edizioni Mediterranee.
Distillando l'essenza di questi esercizi dal mosto della narrazione del libro, si osserva che essi, presentati secondo una prospettiva di "flussi energetici", sono, in ogni caso, tra i più efficaci esercizi generali combinati di stretching, sforzo isometrico/isotonico e attivazione della respirazione, molto utilizzati per iniziare una giornata. Si fanno a stomaco vuoto prima della colazione. In sintesi:

Il primo: Posizione: in piedi, a braccia larghe, palme rivolte verso il basso.
Azione: ruotare su se stessi in senso orario, vale a dire il braccio sinistro ruota verso destra.

Secondo: Posizione base: distesa a terra, supina. Braccia lungo i fianchi.
Azione: sollevare contemporaneamente le gambe fino alla verticale (piedi flessi a "martello") e la testa verso i petto. Spalle, schiena e bacino rimangono a contatto con il suolo. Inspirare durante la flessione ed espirare nella fase di distensione.

Terzo: Posizione base: in ginocchio, mani appoggiate all'apice delle cosce, piedi con le dita flesse e in contatto con il suolo, testa appoggiata al mento. Azione: inarcare all'indietro testa, spalle e schiena. Inspirare quando si inarca ed espirare nel ritorno alla posizione base.
Quarto: Posizione base: seduta, gambe distese e leggermente divaricate, tronco eretto e palmi appoggiati a terra. Azione: piegare le ginocchia, sollevare il bacino e rovesciare indietro la testa (bocca aperta), inspirando. Tornare in posizione base.
Quinto: Posizione base: prona, il contatto con il suolo è dato dai piedi a dita flesse e dai palmi rivolti in avanti. Testa rivolta all'indietro. Il bacino gli arti inferiori sfiorano il suolo senza toccarlo. Azione: spingere il suolo con le mani e sollevare il bacino, flettendo l'addome, inspirando. Espirare tornando alla posizione base.
11) Rada, giochi di ruolo riassunti e riformulazione di quanto è accaduto nella giornata, tecniche di supervisione
La rada è un’esperienza che in un viaggio in barca a vela non può mancare: significa ancorarsi in una baia protetta, dove non ci sono porti né paesi e trascorrere lì la notte al chiaro di luna e sotto un firmamento stellato, che al buio più completo mostra anche la via lattea.
Dopo cena non potendo scendere a terra l’equipaggio sta fuori nel pozzetto sotto le stelle a chiacchierare. Questo è il momento adatto per proporre giochi di ruolo psicologici o di conoscenza reciproca. Il principale obiettivo, che coincide con l’obiettivo del viaggio fatto fino ad ora, è dare voce all’inconscio per scoprire la propria personale corrente e navigare seguendola e non ostinandosi a navigare contro. Lo scopo quindi è scoprire creativamente il proprio talento, in modo da navigare ciascuno al timone della sua barca, conoscendo e sfruttando i mutevoli venti delle emozioni e dell’ambiente sociale[7].
Sono innumerevoli i giochi di questo tipo che si possono fare in barca durante una serata di rada. Ne indicherò solo alcuni già collaudati.
Un gioco di ruolo adatto alle rade può essere quello delle emozioni rappresentate. Su distinti foglietti di carta si iscrivono emozioni ed anche comportamenti (ad es: rabbia, dolore, evitare, aggredire, dolcezza, tristezza, ammaliare, sedurre) e ciascuno, senza vedere cosa c’è scritto sul suo, lo incolla sulla propria fronte. Ognuno nel gruppo, tranne l’osservatore o gli osservatori esterni, inizia a dialogare su un tema di fondo che viene deciso preliminarmente (ad: team di lavoro, su un progetto; famiglia che programma un viaggio, studenti che preparano un lavoro di gruppo, ricercatori che discutono sul loro progetto etc.). Ciascuno si rivolge all’altro con l’emozione o l’atteggiamento che quella persona ha scritta sul biglietto che sta sulla sua fronte. Gli osservatori esterni staranno attenti ad annotare le reazioni di ognuno rispetto ai comportamenti che ricevono dal resto del gruppo e daranno un feedback finale, lavorando sulle difficoltà o blocchi che ciascuno può aver incontrato in questo percorso.
Un altro gioco di drammatizzazione può essere quello dei caratteri, si scrive su alcuni biglietti di carta un tipico carattere ad es: evitante, vittima, carnefice, pacificatore, salvatore e dopo aver spiegato al gruppo le principali caratteristiche del carattere si chiede ad ognuno di rappresentarlo sempre dandosi un tema comune di dialogo. Lo stesso gioco di ruolo lo si potrà fare con i caratteri dell’enneagramma dopo averne spiegato le caratteristiche facendo soprattutto le analogie con i ruoli ed i posti della barca.
Si può utilizzare il disegno e su un foglio diviso in quattro riquadri disegnare le emozioni della rabbia, della paura, della gioia e della tristezza, traendo ispirazione dalle emozioni provate fino ad ora nel viaggio. Dopo aver disegnato, ciascuno, se vuole, può mostrare e descrivere il suo disegno al resto del gruppo che darà il proprio feedback raccontando aspetti di sé e della propria vita o proprie emozioni scaturite e/o rispecchiate nell’esperienza appena raccontata.
Un altro gioco con il disegno può essere quello più intimo della mappa della vita. Si divide il foglio in quattro riquadri, disegnando in alto a sinistra gli eventi della vita passata negativi, in alto a destra gli eventi positivi del passato, in basso a sinistra le aspettative negative della vita futura e in basso a destra le aspettative positive del futuro.
Dopo che ciascuno avrà lavorato singolarmente potrà condividere con il gruppo il proprio lavoro. Gli altri dopo aver ascoltato in silenzio daranno, come sopra, il loro feedback.
Si può utilizzare la scrittura, si legge a tutto il gruppo la frase finale di un libro
 presente sulla barca e si affida il compito ad ognuno di scrivere un racconto o
 poesia che abbia quella frase come finale. Si assegna un tempo breve prestabilito e si cerca di scrivere senza alzare mai la penna dal foglio, in modo tale che sia la mente destra irrazionale ad operare e non quella sinistra razionale. Alla fine ci si divide in coppie e ciascuno leggerà al suo compagno quello che ha scritto. Il compagno rimanderà a colui che legge le tre parole dello scritto che più lo hanno colpito. Lo stesso percorso si farà con l’altro membro della coppia. A quel punto con la stessa tecnica, che si chiama scrittura creativa, si scriverà un pezzo che contenga o sia ispirato dalle tre parole. Si ripeterà l’esercizio rimandando prima 2 parole e poi una sola. In questo modo si scende sempre più nel profondo e lo scritto finale di ognuno potrà essere condiviso con il gruppo.
Un altro gioco che aggrega il gruppo è quello che si usa in teatro della poesia condivisa avente come tema il viaggio in barca che si sta svolgendo tutti insieme. Il primo scrive una frase di poche righe sul tema e senza pensare, poi piega il foglio in modo da coprire ciò che ha scritto lasciando in luce solo l’ultimo rigo e passa il foglio alla persona che a sta alla sua sinistra che farà altrettanto. Alla fine si sarà realizzata uno scritto comune che conterrà l’atmosfera di fondo vissuta da tutto il gruppo che potrà riscoprirsi in un feedback che questa volta è collettivo.
Un altro feedback sul viaggio lo si potrà ottenere disegnando e completando la stella a cinque punte che propone la gestalt. Una volta disegnata  la stella a cinque punte o pentagramma stellato, valido e duttile metodo per avere una visione d’insieme  e contemporaneamente analitica dei fenomeni (dell’uomo, di un’impresa, di una cultura, di un trattamento terapeutico, oppure in questo caso del viaggio), si scriverà una parola o un aggettivo che segua questo schema: razionale/testa/alto; sociale/mano/destra; metafisica/piede/destro; corpo/piede/sinistro; affettività/mano/ sinistra. In questo modo ci si confronterà su come ciascuno sta vivendo l’esperienza in uno schema che consideri allo stesso modo la parte razionale, quella sociale, quella affettiva, metafisica e fisica[8]  della comune esperienza.
Tra i giochi di conoscenza reciproca, uno molto collaudato in barca è il gioco del “Se fosse….”. A turno una persona uscirà dal gruppo e gli altri individueranno tra tutto l’equipaggio (colui che è uscito compreso) una persona. La persona che non sa chi sia il prescelto dovrà indovinare ponendo domande del tipo: se fosse un libro, che libro sarebbe? Se fosse un segnale stradale, quale sarebbe? Se fosse una stagione? Se fosse un mezzo di trasporto? Etc etc. Finito il giro di domande una per ciascun componente del gruppo, si potrà provare ad indovinare. Se la persona oggetto delle domande non si sarà rispecchiata nelle risposte del gruppo, se vuole potrà lavorare con la sedia vuota ponendo domande a quel sé che gli altri hanno visto e in cui lei non si riconosce, ponendo domande del tipo cosa vuoi tu da me? di cosa hai bisogno? come ti sentiresti se il tuo bisogno fosse soddisfatto? come ti relazioni con me? perché mi accompagni nella vita di relazione?  in cosa vuoi aiutarmi? in cosa mi ostacoli? come potremmo integrarci meglio insieme? Cambiando posto una volta poste le domande si siederà sulla sedia vuota a cui le ha poste e dopo un respiro profondo di rilassamento darà le risposte.
Un altro esperimento è quello con i tarocchi di madre pace che si leggono in modo circolare ed in gruppo. Sono uno strumento oracolare, come tutti i tarocchi, ma i loro disegni estremamente espressivi e pieni di dettagli fanno sì che chiunque possa leggerli e farli funzionare come uno specchio di sé: una sorta di specchio divinatorio. Si mettono i tarocchi in cerchio su un piano al centro del gruppo ed ognuno prende una carta avendo fatto una domanda o semplicemente stando ad ascoltare/vedere ciò che le carte vogliono dirgli. Ciascuno guarda la sua carta percependo e intuendo la risposta o il messaggio da sé senza l’interpretazione di alcuno. Il primo che vede qualcosa di chiaro la condivide e tutto il gruppo potrà dare il suo feedback leggendo la carta uscita al compagno. Lo stesso si ripete per tutti i componenti dell’equipaggio e con le loro carte
I giochi di ruolo o di conoscenza possono essere molti ed ogni volta potranno essere proposti in modo che siano tarati allo specifico equipaggio e alla sua caratteristica di fondo. L’importante è che tutti i membri siano coinvolti nel raccontarsi e nel dare feedback a chi parla, raccontando esperienze analoghe o blocchi, difficoltà similari o solo richiamate dal racconto di chi espone. Il comandante sarà il facilitatore e se serve l’osservatore esterno, comunque colui che spiega le regole e fa fluire le esperienze.
In questo modo il viaggio diventa davvero un viaggio nel profondo di sì stessi come individui ma anche come gruppo e l’atmosfera che c’è su una barca facilita l’apertura e la partecipazione di tutti.


12)  Esperienza in barca scelta da genitori separati che condividono momenti di vacanza con i figli
“Nessun vento è favorevole
Per chi non sa dove andare
Per noi che sappiamo
Anche la brezza sarà preziosa…. (R.M. Rikle)

Nell’ultima fase della mediazione familiare, quella deputata agli accordi e agli incontri di sperimentazione degli stessi, alcune coppie possono aver proposto nei loro accordi di trascorrere del tempo insieme con i loro figli. Generalmente questo è un tempo di libertà dagli impegni quotidiani. Può essere un’uscita insieme in pizzeria o al cinema ma può essere anche una vacanza. Nella mia esperienza di skipper abbiamo avuto in barca una coppia separata, già da tempo, che ha trascorso un weekend lungo con noi, partecipando ad una regata di due giorni con una festa e cena finale. L’esperienza è stata costruttiva e grazie al gioco dei tarocchi, fatto alla fine, la bimba (una ragazzina di 10 anni) ha trovato il modo di esprimere le sue preoccupazioni e i suoi sentimenti di figlia ad entrambi i genitori. Il loro reciproco agonismo, residuo di una separazione consensuale, è stato ben ammortizzato dai compiti che ciascuno aveva in barca. Il proprio carattere e la comunicazione diretta e indiretta, sulla barca è passata sempre attraverso  i ruoli che ciascuno aveva e che non poteva esimersi dal compiere soprattutto perché si stava regatando. Le dinamiche relazionali sono fluite, così come fluidi erano i compiti concitati durante le manovre in barca. Lui più esperto dirigeva i membri meno esperti tra cui la ex moglie che era alla seconda esperienza in barca e sempre il padre accudiva alla figlia, compito che nella vita quotidiana di quella coppia grava più sulla madre convivente. Quest’ultima, vedendo il padre occuparsi così premurosamente della figlia e vedendo come la coinvolgeva nella vita di bordo, ha ritrovato nel suo ex partner maggiore fiducia, quella fiducia che spesso si perde nella separazione.
Quello di trascorrere in barca con uno skipper mediatore, una giornata, un weekend ma anche una settimana può essere proposto nella fase finale della mediazione a quelle coppie che hanno manifestato la volontà di ritagliarsi e dedicarsi del tempo da trascorrere insieme con i figli per dare continuità al loro ruolo genitoriale, per i figli ma anche per loro stessi. Questa è una tendenza che si diffonde sempre di più, per lo meno nelle coppie che superano la fase esasperata del conflitto. Passare del tempo insieme con il figlio genera la possibilità di continuare a vedere l’altro come genitore se pur separato e può servire per prendere decisioni comuni nell’interesse del figlio man mano che le esigenze di questo cambiano con l’età, con il cambiamento di scuola di amici e di abitudini.
Gli OBIETTIVI  che il mediatore skipper deve porsi in un’eventualità del genere sono:
1.     ulteriore definizione, verifica degli accordi, PARTENDO DA UNA SPERIMENTAZIONE CONCRETA, cui lo stesso mediatore partecipa;
2.     riconoscimento dell’altro come genitore separato, nuova rappresentazione di sé e dell’altro anche rispetto ai contesti dei terzi.
Nello sperimentare in concreto l’accordo abbozzato nella precedente fase i partner hanno modo di vedersi concretamente nella nuova ottica di genitore separato e di rappresentare anche l’altro in una nuova luce.
Nell’incontro in barca, fuori dai contesti ordinari, vivono l’accordo, sperimentano nuove modalità di rapportarsi con i figli e l’uno con l’altro, possono recuperare ed esplicitare riconoscimenti di competenze e peculiarità dell’altro, anche facendo riemergere momenti precedenti la separazione, quando la vita coniugale funzionava.
Il mediatore, skipper con i rimandi, deve stimolare e esplicitare il più possibile questi riconoscimenti, sottolineando il fatto che sono importantissime risorse divenute disponibili a vantaggio dei figli e dei partner stessi[9]. Il mediatore può utilizzare per facilitare l’incontro e la comunicazione oltre alle tecniche sue proprie di facilitatore, specchiatore, riformulatore anche il suo ruolo di comandante assegnando agli ex coniugi dei compiti complementari, in cui l’uno non può funzionare senza l’aiuto dell’altro e viceversa. Nell’esperienza fatta in barca per es. gli ex coniugi avevano l’incarico di provvedere l’uno a lascare la vela durante le virate e l’altro a cazzarla dall’altra parte in modo da consentire alla barca di cambiare mura. In questa manovra se il primo non lasca, cioè lascia andare la cima, l’altro non può cazzare cioè tirare la stessa cima dall’altra parte. E’ come un gioco di ruolo in cui ci si allena a giocare insieme, un po’ come ci si allena ad essere ancora genitori seppur separati. Anche i genitori separati che hanno l’affido condiviso dei figli, per il loro bene devono continuamente prendere decisioni ed esercitare i loro ruolo e dovranno imparare a farlo separatamente sì ma in modo sincrono, proprio come in una manovra di regata su una barca a vela.
Possono però rimanere zone d’ombra e indisponibilità. Devono essere messe in luce dal mediatore, REGISTRATE e rimandate, ma senza forzature.
In concreto è possibile che rimangano delle perplessità o sfiducie rispetto all’altro, legate magari a precedenti vissuti, che i partner o uno dei due non vuole più mettere in discussione anche per esigenze di distacco dall’ex partner. Il mediatore deve RISPETTARLE e limitarsi a registrale ed esplicitarle con semplici rimandi.
Il riconoscimento di alcune competenze dell’altro e il permanere di zone d’ombra possono coesistere. L’importante è definire e chiarificare le aree, a salvaguardia dei figli. Se permane una zona di agonismo o di sfiducia nell’altro, non fallisce l’intera mediazione, né il viaggio insieme. L’importante è che attraverso i riconoscimenti i figli rimangano fuori dall’area, pur permanente, dell’agonismo e della sfiducia e siano più liberi di sperimentare rapporti autentici con entrambi senza sentire la preoccupazione e/o la rabbia dell’altro partner.[10]
La sperimentazione e ridefinizione di sé e dell’altro avviene anche nei confronti dei terzi, gli altri ospiti della barca e i FIGLI: il fatto che i rapporti dell’uno e dell’altro con i figli siano regolati da un accordo auto deciso e condiviso e che prevede del tempo, come un bel viaggio da trascorrere insieme, porta ad una liberazione del figlio dall’essere l’ostaggio dei partner nel loro conflitto.
Durante il viaggio, poi, si possono sfruttare i momenti della navigazione lunga, e delle rade per approfondire aspetti di sé e dell’altro facendo il genogramma o giochi di ruolo così come descritti nei capitoli precedenti.
Per armonizzare la coppia il comandante utilizzerà gli strumenti propri del mediatore già illustrati ed in più chiarirà che si è sulla stessa barca per uno scopo comune: portare la barca in sicurezza fino alla meta, che la barca è il simbolo dell’accordo stipulato dai genitori, e che il compito è di sperimentarlo in concreto. Il comandante poi per evitare il rischio di tendenze aggressive o conflittuali porrà una chiara gerarchia dei ruoli, che in barca è fondamentale per la sicurezza, informerà tutti di quello che succede, darà ad ognuno, figli compresi, un ruolo ben definito, lascerà ad ognuno un po’ di privacy (a ciascuno darà una sua cuccetta separata dalle altre) proporrà giochi, genogrammi, sociogrammi per continuare il viaggio anche interiore e dare la possibilità di re-incontrarsi in un insolito spazio neutro.


13) Dinamiche relazionali e tipi di conflitto
Nell’equipaggio, sia che sia formato da ex coniugi con i loro figli, sia che sia un equipaggio misto ex coniugi con terzi, sia che siano tra loro amici o un gruppo formatosi ad hoc per l’esperienza in barca, potrebbero crearsi delle dinamiche che richiedono degli interventi particolari da parte del mediatore skipper, per evitare che il viaggio si trasformi in un naufragio emotivo. Come detto precedentemente, se l’avventura in mare porta a vedere luoghi splendidi, a fondersi con la natura, ad aprire i cinque sensi assorbendo gli elementi presenti delle bellezze naturali, può anche comportare dei rischi, non solo tipici dell’esperienza, come il cattivo tempo e il mal di mare, ma anche di tipo relazionale. In questi casi lo skipper deve saper gestire la situazione, potendo usufruire di tecniche specifiche di armonizzazione dei diversi membri a seconda delle dinamiche che si istaurano tra loro.
Possiamo dividere le dinamiche in quattro tipi: Congelamento, esasperazione, spostamento e negoziazione.

14) Congelamento e necessità di cooperazione per la sicurezza di bordo
Nel CONGELAMENTO c’è dialogo e ascolto tra le persone, ma non a livello emotivo.  Le emozioni sono bloccate e/o nascoste, tenute a bada. L’ascolto e il dialogo non hanno adesione emotiva[11]. Questo può verificarsi tra gli ex coniugi, che per vivere l’esperienza con i loro figli in barca a vela, congelano le emozioni conflittuali, ma può anche accadere tra due o più membri dell’equipaggio, tra cui scatta a prima vista un’antipatia epidermica, per cui si tengono lontani, ponendo una distanza emotiva tra loro. Questo atteggiamento di congelamento può inibire una fluida vita di bordo e rendere fredda un’esperienza che ha invece lo scopo di unire. Per i terzi, presenti a bordo, in primis i figli, la situazione rimane confusa, pertanto potrebbero essere portati a congelare le loro stesse emozioni, in quanto tendono ad adottare un ruolo di fuga e rimozione del conflitto. In una situazione di tal fatta, caratterizzata da silenzi e blocchi, i coniugi o i membri dell’equipaggio, cercano di dare al mediatore/skipper una delega estesa, per la vita di bordo. In questi casi egli cercherà di stimolare un confronto ed uno spazio interattivo, senza rimanere troppo rigido nel rifiuto di ricevere la delega. In questa caso, lo skipper mediatore rimanda ai membri dell’equipaggio le loro competenze spiegando in modo chiaro le regole della sicurezza di bordo, chiarendo come sia necessaria la cooperazione tra i vari membri per garantire la navigazione sicura. Darà, quindi a tutti dei compiti specifici e direttive chiare e sfrutterà l’”obbligo” della cooperazione, assegnando compiti differenti ma complementari ai membri che hanno generato il congelamento, in modo che la vita stessa di bordo, possa smussare questa presa di posizione e sciogliere lentamente la freddezza emotiva. Sceglierà allora di effettuare molte manovre e sceglierà un andatura di bordeggi, in modo tale che le ripetute azioni fungano da collante emotivo tra i membri tendenzialmente congelati.

15) Esasperazione e necessità di attenersi alle direttive del comandante. il perno su cui tutto ruota è lo scopo di navigare in sicurezza, allontanamento dal conflitto
La dinamica di esasperazione si ha quando due o più membri di un equipaggio entrano in un conflitto aperto. Questo purtroppo può accadere in barca ed anzi è agevolato dagli spazi ristretti e dalle dinamiche di vita molto ravvicinate nello spazio e nel tempo. Tutto è accelerato in barca e può scatenarsi il conflitto o in virtù di dinamiche aggressive latenti ed esistenti già prima dell’imbarco o per conflitti dovuti ad un aspetto della vita di bordo (un conflitto tipico si crea quando si deve decidere se passare la serata in rada o a terra, oppure, se ci sono bambini a bordo ed un membro dell’equipaggio interviene per riprenderli, il genitore può risentirsi) ma i casi che fanno scoppiare il conflitto possono essere molteplici. Quando si entra in una dinamica di esasperazione le persone in conflitto (ex coniugi o due membri del gruppo) divengono gli interlocutori assoluti ed esclusivi, comunicando con forte antagonismo. In questi casi può rimanere in entrambi o in uno solo una attrazione verso l’altro, ma fondata su giochi di potere. Generalmente questa modalità nel tempo si affievolisce, anche grazie ad eventi particolari, all’intervento di terzi, in primis del comandante, o semplicemente al trascorrere del tempo. In situazioni di questo tipo si crea il rischio del reclutamento, che è funzionale a colpire l’altro o a mantenere il legame con lui/lei. Il figlio o gli altri membri dell’equipaggio e persino il comandante, se non pone attenzione alla dinamica in atto, può diventare un’arma impropria tra i due configgenti. La reazione del figlio o degli altri membri sarà allora di chiusura, fuga o di allontanamento. Il Comandante/Mediatore cercherà di vedere e di far vedere, con dei rimandi, l’aspetto positivo e costruttivo del conflitto e al tempo stesso cercherà di porre dei limiti per evitare l’escalation ed il coinvolgimento degli altri. Potrà farlo mantenendo la sua attenzione e riportando quella dei membri in conflitto allo scopo pragmatico del viaggio: una navigazione sicura. Per cui se il conflitto dipende dal posto in cui andare, sarà il Comandante a sottolineare come la scelta debba essere innanzitutto sicura e tenere conto della difficoltà di un porto o di un ancoraggio, in base alle condizioni del mare e del tempo, se è l’aver ripreso il ragazzino sarà il comandante a sottolineare se per la sicurezza di bordo l’atteggiamento del ragazzo era in effetti pericoloso o meno. In altre parole la sicurezza viene messa sopra ogni cosa, e con dei rimandi alle regole fondamentali della vita di bordo, pian piano le parti in conflitto vedranno una via di uscita, si renderanno conto che si è tutti sulla stessa barca e se non si vuole affondare il conflitto andrà mediato a favore della buona e sicura navigazione. Il Comandante dovrà fare attenzione a non prendere parte attiva al conflitto, a restare imparziale e a non farsi reclutare da una delle parti. In questa sua posizione che è anche gerarchica, porrà l’attenzione sulle regole che vigono in barca per la sicurezza, ma anche su quelle più sottili proprie del galateo del mare e con dei rimandi, che saranno in positivo e assertivi e non apertamente direttivi, farà rendere conto alle parti, che con il mare non si scherza e che l’armonia di bordo è veramente la principale delle regole di sopravvivenza.

16) Spostamento ed equanimità del comandante, ruoli chiari per tutti i membri
Quando il conflitto si accende tra due membri, che possono essere anche gli ex coniugi in una dinamica di spostamento, i configgenti non saranno interlocutori diretti tra loro, ma la conflittualità verrà espressa con atteggiamenti aggressivi che coinvolgono i terzi e si esprimeranno nel gruppo dei terzi, reclutandoli come propri alleati contro l’altro. La tendenza dei configgenti sarà quella di reclutare i terzi in primis il comandante e si vi è il figlio a bordo, spesso quest’ultimo.  Il figlio e i terzi in genere, vengono reclutati esplicitamente o implicitamente dalle parti in conflitto. Si sentono importanti e questo è gratificante, ma alla fine dovranno schierarsi e allora avranno paura dei contraccolpi dell’altro e allo stesso tempo si sentiranno in colpa. Se questa dinamica non viene smussata subito dall’intervento del Comandante/mediatore, diventerà rigida e la rigidità creerà confusione all’interno del gruppo e  dicotomia alleato nemico. Il rischio è che le parti cerchino di strumentalizzare il mediatore/comandante per avere un alleato o per soddisfare i propri bisogni. Se la strumentalizzazione è in un contesto estraneo alla vita di bordo e avente le radici in un conflitto pregresso  il comandante deve ritirarsi categoricamente, anche interrompendo il viaggio se necessario. Se invece il tentativo di strumentalizzazione avviene per bisogni attinenti alla vita di bordo, può arrischiarsi di essere visto come amico o nemico, pur di sollecitare un’individuazione ed esplicitazione delle rispettive richieste ed indisponibilità, per confrontarle poi con le leggi del mare e di una navigazione sicura, ponendosi se necessario come arbitro allo scopo superiore di assicurare il prosieguo della navigazione. Potrà anche separare i ruoli delle parti configgenti dando ad ognuno il suo ma su aspetti differenti della vita di bordo. I ruoli chiari assegnati a tutti i membri dell’equipaggio faranno rimanere le persone al loro posto ed evitare arruolamenti o reclutamenti, attendendo che il conflitto scemi o venga superato. Non da ultimo va considerato che i continui richiami alla sicurezza rimandano al comune bisogno di protezione del figlio da parte degli ex coniugi.


17) Negoziazione sulle decisioni che coinvolgono l’equipaggio: rada o porto? Cambusa, scogli o spiagge: Il rispetto delle forze naturali brainstorming e problem solving.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi il conflitto si manifesta in modo aperto e dialettico, dove l’immagine dell’altro non è danneggiata, o non troppo danneggiata sì da consentire l’ascolto dell’altro e delle sue esigenze, emozioni e richieste.  Proprio perché il conflitto è svelato, c’è maggiore possibilità di avvicinarsi a ciascuna parte senza paura di ferire l’altra; c’è maggiore possibilità di sperimentare ruoli più autonomi e modalità adattive proprie rispetto al conflitto.  Con questo tipo di dinamica, che si può definire negoziale sono importanti gli aspetti pragmatici della navigazione e quindi le priorità rispetto alle esigenze di bordo e della vita comune: se c’è da fare cambusa la si fa, se si è già stati in un porto la sera precedente si può rimanere in rada, se invece si sceglie il porto ci si può separare per la cena, chi gradisce resta in barca gli altri vanno a cenare fuori. Si parte dalla definizione degli interessi di tutte e le parti e il comandante / mediatore individua i modelli disfunzionali e aiuta ad adottare comportamenti e comunicazione chiara, per aprire il negoziato, consiglia sulle esigenze della navigazione dando informazioni sui porti, i possibili ancoraggi i posti da poter visitare, le condizioni del mare e le previsioni meteo dei giorni futuri. Le opzioni di soluzioni possono essere trovate con la tecnica del brainstorming. L’accordo e la scelta sull’opzione migliore è condotta con il problem solving. Il Brainstorming è quella tecnica che porta il gruppo ad esprimere tutte le opzioni possibili, anche le più fantasiose e strampalate, su un dato problema e poi con il problem solving verranno valutate assegnando ad ognuna un punteggio fino a quando non ne verranno selezionate poche o addirittura una soltanto. Sulle soluzioni prescelte si potrà discutere ancora valutando i pro e i contro, suddividendo ogni singola opzione in sotto opzioni e verificando le informazioni disponibili su un dato argomento e alla fine scegliere insieme quella che dal gruppo viene valutata la migliore.

CONCLUSIONI

“Anima dell’uomo come somigli all’acqua!
Destino dell’uomo come somigli al vento!” (J.W. Goethe)
Abbiamo visto come il viaggio in mare si presti ad essere una metafora del percorso di mediazione e come il ruolo del comandante nell’armonizzare un equipaggio sia simile a quello del mediatore nel condurre nel percorso di mediazione la coppia di separati, non più coniugi, ma ancora e sempre genitori.
Il mare è stato descritto come metaforico dell’inconscio e delle emozioni al punto da proporre come possibilità conclusiva di alcune mediazioni una vacanza in barca tra ex coniugi con i loro figli.
Ma non è solo il mare a fornire metafore e strumenti per la mediazione, anche quest’ultima è utilissima per un comandante che voglia far compiere al suo equipaggio un viaggio più profondo nel mare nero dell’inconscio e che voglia prestare attenzione all’armonia del gruppo che porta con sé, nella consapevolezza che in quell’armonia sta il successo profondo dell’esperienza.



[1] Cfr. Lo Iacono. Psicoterapeuta del mare
[2] Cgr. Lo Iacono. Psicoterapeuta del mare
[3] Crf Lo Iacono, Pscicoterapeuta del mare
[4] A. Jodorosky in Plano Creativo
[5] Marianna Costa in Plano creativo
[6] Psicogenealogia. Capire,Accettare E Trasformare L'eredita' Psicologica Familiare”       Langlois Doris E Lise,      Ed. Apogeo                          
[7] Cfr: LA GESTALT. TERAPIA DEL CON-TATTO EMOTIVO, DI SERGE E ANNE SINGER (cap. 1)

[8] La gestalt. Cit.
[9] Cfr. F. canavelli e M. lucardi. La mediazione familiare
[10] Cfr. F. canavelli cit.
[11] Cfr. Canavelli e Lucardi, cit.



Nessun commento:

Posta un commento

RICORDATI DI FIRMARE IL TUO COMMENTO