L’odore che sento non è solo profumo di terra, è odore di casa! E se anche l’orizzonte assume un profilo mai visto e nemmeno immaginato, quel profumo di terra umida e timo mi danno l’illusione di essere in un luogo familiare.
Per evitare i venti di accelerata da dirupi di esagerate altezze, dobbiamo accostare il più possibile verso Santa Marta, anche se questo comporterà entrare nel suo golfo e modificare la rotta di 90 gradi.
Il sole, salendo, pur invisibile ancora dietro l’orizzonte, fa evaporare velocemente la foschia inondandoci ora di un odore diverso. Di terra arsa e salsedine.
Le onde avvicinandosi alla poppa sembrano frangenti, le sento arrivare da dietro con un fragore rovinoso, ma poi trovano quasi sempre il modo di incunearsi sotto la poppa arrotondata del veliero sollevandolo sulla cresta e sospingendolo veloce verso questa terra sconosciuta.
Il primo raggio di sole si fa strada tra grosse nuvole basse e così, improvvisamente già alto, mi acceca. Riaprendo gli occhi i suoi raggi illuminano le torri bianche di una città sconosciuta.
Luccicano a Est i profili lucenti e candidi di queste spade d’acciaio puntate verso il cielo, come a dissuadere invidiosi e avidi conquistatori di tempi passati e presenti.
Non ci fermiamo, nonostante scogliere e città siano bellissime!
Siamo diretti più a Sud a Cartagena de Indias. Per noi è davvero come atterrare su un pianeta sconosciuto, non abbiamo coordinate, racconti, guide o portolani. Sentiamo solo un’attrazione verso il suo centro gravitazionale, è più una tensione, che ci sospinge, nostro malgrado, verso il caos, verso un turbinio di destini le cui fila sembrano lasciate a briglia sciolta e annodate tra loro senza possibilità di districarsi, e noi, senza sapere come, ci imbrigliamo dentro e come cavalli imbizzarriti continuiamo a correre, trascinando rumorosamente, tra onde scoscese, il nostro carro del mare.
Tra Santa Marta e Cartagena incontriamo il tratto di navigazione più diffcile fino ad ora: onde molto alte che si frangono da tutte le direzioni, una forte corrente che spinge verso gli scogli a terra, da cui diventa difficile stare alla larga, grossi detriti vomitati in mare dalla Magdalena, il primo dei grossi fiumi che dalla foresta pluviale sfociano in questo mare fangoso.
Noi abbiamo incontrato solo tronchi giganteschi ma si narra, tra i navigatori, che a volte la Magdalena trascini in mare auto, container e addirittura una volta uno scuola bus.
Il tratto della foce, come se non bastasse, è anche pieno di secche insidiose, che si spostano con le stagioni e le boe segnaletiche non sono sempre funzionanti.
Alfredo ha fatto di tutto per arrivarci con la luce, ma ci siamo accostati proprio all’ora dell’imbrunire e a lui è toccato guadare questa immensa foce nella più totale oscurità, aiutandosi ogni tanto con il grosso faro costruito, per le stesse ragioni, a Capo Verde.
É stata dura raggiungere la Baia di Cartagena, tanto che quando le autorità ci hanno suggerito per radio di circumnavigare l’intera isola di Boca Grande, anziché entrare dritti nella baia della città, essendo un percorso più sicuro per via della presenza di secche, non ce lo siamo fatto ripetere due volte e abbiamo optato per il perimetro di tutta la vasta area insulare antistante la città.
Entrando nella baia di Cartagena è subito evidente il cambiamento di mondi: dalle piccole paradisiache isole caraibiche ad una terra complessa, estrema, difficile molto lontana anche dalla nostra Europa che pure qui ha costruito mura, castelli, cattedrali, palazzi e piccole case coloniali, tagliato foreste, costruito flotte navali, bruciato streghe e sciamani con la più feroce delle sacre inquisizioni.
Sciamani e sciamane della foresta che, sacrificando animali, celebravano complesse cerimonie e rituali per propiziarsi gli elementi naturali considerati divina espressione di un’intelligenza immanente e interconnessa, giudicati e messi al rogo da più moderne religioni i cui opulenti officianti, sacrificavano donne e uomini sull’altare di solenni processi, per accaparrarsi quegli stessi elementi naturali considerati mondana espressione di ricchezza e potere da offrire a un dio sovrano universale, creatore di cielo e terra.
Questo cruento incontro tra mondi lo si può vedere ancora nella commistione dei tratti somatici delle
persone che passandoti davanti mostrano nei loro corpi tutti gli infiniti incroci razziali di cui è capace il pianeta Terra: dai connotati tipici dell’Africa nera, risalenti agli schiavi deportati qui dagli spagnoli, passando attraverso i campesinos dei villaggi e gli arborigeni andini, a visi tipici delle vette Himalayane, passando per le impronte ispaniche e per finire alle bionde altezze franco-anglofone.Poi piano piano iniziamo a conoscere quei volti e dargli un nome e talvolta una storia.
Il primo è un uomo canadese di lingua francese, Andrè, con due occhi celesti che brillano incassati tra le rughe abbronzate di chi vive sul mare. Fa il marinaio su un catamarano di una coppia di Sudafricani e vedendo il nostro fuoribordo che arranca ad accendersi, si propone a noi come meccanico.
Ci racconta della sua barca e della speranza che ancora nutre di liberarla un giorno da un assurdo sequestro. Aveva iniziato a lavorare con la sua barca a vela, insieme alla moglie italiana, Donatella, portando i turisti dal centro città all’isola di Barù per una giornata o un week-end. Forse ha pestato i piedi ai barcaioli locali, o forse non ha sufficientemente unto la polizia del posto. Fatto sta che in uno di questi viaggi, un gruppo di turisti americani porta a bordo della cocaina e la polizia, fermata l’imbarcazione, a colpo sicuro, la trova incolpando di tutto il comandante, nonché armatore. Non avendo pagato nemmeno questa volta chi di dovere, ma essendosi affidato alla giustizia, si è ritrovato in galera per traffico di droga e con la barca sequestrata.Adesso è libero sotto cauzione in attesa che si svolga il suo processo, impantanato a causa del covid e del continuo cambiamento di gudici e da ripetuti e ingiustificati rinvii.
Ci è sembrata assurda come storia e non gli abbiamo creduto fino in fondo, pensando che, magari, un po' in difetto fosse anche lui.
Ma poi circa un mese dopo, Pablo, venditore afro-colombiano di sigari cubani di contrabbando, sapendo che viviamo a bordo di una barca, ci ha messo in guardia raccontandoci la storia di un francese, ormai famoso a Cartagena, vittima di una “trampa”, ovvero incastrato dalla polizia locale per non aver pagato la doverosa tangente. Insomma sembra che lo sappiano tutti a Cartagena che il povero Andrè sia stato incastrato dalla polizia corrotta di questa città di due milioni di abitanti.
Nicolle di professione agente per il disbrigo di pratiche di immigrazione è una donna giovane
tracagnotta dai tratti somatici ispanico-andini e ha il suo ufficio mobile tra i tavolini del bar antistante i pontili del marina per barche da diporto. Lei mi racconta che la situazione delle donne in Colombia è migliorata molto. Adesso quasi tutte lavorano. Anche lei è indipendente e vive bene, da single, senza un capo famiglia che decida per lei.Mi rassicura che non è pericoloso per me, non più che per Alfredo per lo meno, passeggiare anche di sera nei quartieri centrali. La sento entusiasta della sua vita e del suo lavoro. Si rabbuia solo quando il discorso verte sulle manifestazioni che in questi giorni stanno mettendo a ferro e fuoco le principali città colombiane Kali, Medellin, Bogotà e anche Cartagena.
Sempre più persone sono velocemente precipitate sotto la soglia della povertà e, guidate da sindacalisti, professori universitari, avvocati che difendono i diritti umani, sono scesi in piazza a protestare. Purtroppo, ci raccnta Nicolle, lo stato occulto, che comanda squadroni di paramilitari, ha reagito colpendo in modo infame la classe media, gli idealisti, coloro che credono e divulgano idee di più equa ripartizione delle risorse. Ogni giorno alla radio sentiamo notizie di persone scomparse. Due giorni fa era scomparso Alvaro, impiegato, aveva jeans chiari e camicia scura. Oggi è stata trovata la sua auto aperta e con le chiavi ancora sul cruscotto. La moglie, Maria chiede a chiunque sappia qualcosa di darle notizie.Anche le strade sono piene di foto di persone scomparse. Ma nessuno sembra sapere niente. Nicolle è preoccupata per un suo caro amico di Kali, desaparesido già da dieci giorni. Per lei non tornerà più nessuno, perché li torturano e uccidono.
La gente si arrabbia di più e le manifestazioni sono sempre meno pacifiche.
Alfredo si è trovato coinvolto in una di queste mentre era in taxi e cercava di raggiungere un cantiere per prendere informazioni per il ricovero di Gyziana.
Il tassista ha iniziato a sudare freddo e ha cercato di scappare dall’imbuto in cui suo malgrado si era infilato: ha corso in retro marcia, ma anche la via di fuga era ostruita dalle fiamme. Poi è riuscito a svoltare in una laterale e a fuggire dal delirio di spari, urla e lacrimogeni.
Nicolle ha ragione, qui le persone non spariscono sono brutalmente ammazzate.
Cartagena De Indias, 21 maggio 2021
To be continued….