domenica 22 marzo 2020

A volte c'è fine anche al peggio

A causa del vento e delle onde, il nostro mondo è diventato improvvisamente instabile e difficile da gestire.
Anche camminare ora è un’impresa! Niente è più come prima e forse questa diventerà la nostra normalità, e per chissà quanto tempo.
Non abbiamo ancora preso il piede marino e siamo straniti, flemmatici e naturalmente nervosi, chiusi in 60 metri quadrati di territorio oscillante, come una centrifuga di lavatrice!
Senza essere ancora usciti in pozzetto, a parte Alfredo che è al timone,  arriva l’ora di preparare il pranzo.
Tocca ad Emilio, che distrattamente mi chiede: “Che pasta faccio oggi?”.
Ed io che già non ne posso più di mangiare pasta a pranzo e a cena, per di più preparata con la pentola a pressione, gli chiedo, con accattivante gentilezza:  “Perché non fai un’insalata di riso?”.
Lui, più per educazione, che per reale convinzione, e soprattutto senza sapere esattamente come si faccia un'insalata di riso, si mette a lavoro.
Dopo pochi minuti apre l’oblò per gettare in mare le bucce delle carote ed un’onda irrompe nella cucina allagando tutto. Sento che borbotta e forse lancia qualche imprecazione, mentre inizia ad asciugare il paiolato.
Mi dispiace vederlo in difficoltà e vado ad aiutarlo. E per fortuna perché un barattolo di plastica, pieno del condimento della cena precedente, salta dal nulla, cade a terra e implode, inzuppando tutto di sugo unto e verdure.
Ricominciamo a pulire  tutto di nuovo.
Nel frattempo mi ricordo che ci vogliono le uova sode e gli passo un pentolino  con quattro uova da bollire, mentre lui apre l’armadietto dello scatolame, da cui ruzzolano giù capperi e carciofini sott’olio.
Questa volta siamo fortunati, nonostante siano di vetro, non si rompono.
In compenso succede che mentre io sono a quattro zampe per raccoglierli e pulire gli ultimi residui di sugo, Emilio viene travolto da una profonda sfiducia nella cucina basculante:  immagina scenari apocalittici, in cui l’acqua bollente delle uova mi si riversa addosso ustionandomi e così, travolto da questi pensieri, la toglie dal fuoco e colloca il pentolino  su un piano fisso.
Niente di più sbagliato su una barca che dondola!
Quello prende la rincorsa, alla prima onda,  e sta per precipitare rovinosamente su di me, mentre la pentola a pressione, dentro cui bolle il riso, soffia all’impazzata; fortunatamente Emilio evita il peggio: riesce ad afferrarlo al volo e a sbatterlo con tutte le uova ancora mezze crude nel lavello, urlando esausto:
Io volevo fare la pastaaaaaaa!!!!!”.
Incasso il colpo e per calmarlo mi offro di continuare io in cucina, tanto ormai è quasi tutto pronto. Ma penso male: perché sul più bello, mi accorgo che è finito l'olio. Veramente è sparita tutta la bottiglia.
Emilio allora mi confida che l’olio in effetti è finito ma, cosa ben peggiore, Adriano ha gettato via tutta la bottiglia, con quel comodissimo erogatore, che ci piaceva tanto. Mi rendo conto che la rabbia è contagiosa e che ormai mi ha assalito, mentre vado a prendere la tanica dell’olio, senza sapere ancora dove poterlo travasare.
Ma è proprio vero che non c’è fine al peggio: scopro che la lattina dell’olio è sporca di gasolio e che tutta la sentina è piena di carburante! Chiamo allarmata Alfredo che corre a controllare come mai il gasolio sia finito lì, mentre Emilio lo sostituisce al timone.
Io me ne torno in cucina, urtando da tutte le parti, con la lattina dell’olio in braccio e in quel momento  passa Adriano, e scarico tutta le tensione su di lui, rimproverandolo: “Ed ora dove lo travasiamo l’olio?”.
Lui allora mi propone di accorpare due bottiglie d’aceto in una e ricavarne un vuoto. Lo faccio, ma il tappo non è di quelli che si svita. Intanto ad ogni onda rischia di cadere qualcosa d'altro o peggio l’intero pranzo.
Adriano ormai è diventato il capro espiatorio del mio nervosismo che raggiunge l’apice quando mi taglio con il tappo dell’aceto, da lui adattato, a suon di coltello, per farlo diventare un improbabile contenitore dell’olio!
A questo punto perde le staffe anche lui, dicendo, che in fondo ha solo gettato via un vuoto e quanto a me, non è stata la  bottiglia a tagliarmi ma la mia stessa rabbia. 
Tutti accorrono aspettando preoccupati la mia reazione. Anche io l’aspetto, ma stranamente non arriva.
Ha proprio ragione lui:  vedo la mia rabbia, è rossa e calda come il filo di sangue che mi sgorga dal dito. 
E proprio perché la vedo non esplode, ma scorre via libera e mi lascia in sospensione, in uno stato di grazia e di stupore.
Ciò che esplode invece è la nostra fame nel vedere l'insalata di riso condita  con uova e maionese che, nonostante tutto il trambusto durante la sua preparazione, sembra buonissima e così andiamo in pozzetto a mangiarla, dimenticandoci  del gasolio in sentina, della bottiglia dell'olio, della pasta e persino dell'insopportabile rollio della barca. 
Fuori c'è finalmente aria fresca, si rolla meno, si respira il mare e si possono guardare le onde, alte sì ma dolci, costanti, benefiche, e ogni tensione si dissolve finalmente tra gli schizzi caldi dell'Oceano, che ci fanno ridere e riprendere dai malumori.
E così, come ogni  avventura che si rispetti, anche questa può finire davanti ad una tavola imbandita.


domenica 15 marzo 2020

La distrazione nascosta

Il vento forte è arrivato di notte senza preavviso, come un Re che rientra dalla guerra nel suo castello, con cavalleria al seguito, sapendo che  tutti, per editto, devono  essere pronti al suo ingresso in qualsiasi momento avvenga.
In pochi secondi, io, il Conte e il Capitano, armati di cerata, giubbotto autogonfiabile e cintura di sicurezza, ci ritroviamo al proprio posto di combattimento: io al timone e alle scotte dello yankee, e loro sul ponte per disarcionare il tangone imbizzarrito.
Arriva subito anche Adriano, ma lui è anarchico e insubordinato. Vorrebbe raggiungere gli altri sul ponte a piedi scalzi, senza cintura, né giubbotto, ma viene bloccato dall'urlo del Comandante.
Come tutti gli anarchici, ha la testa dura e non ritorna in pozzetto, come gli è stato chiesto,  ma se ne sta lì seduto a mezza nave, con l'aria a metà tra lo stralunato e l'offeso, finché non gli chiedo  per favore un aiuto a cazzare una scotta.
Siamo decisamente troppo invelati per sostenere il vento e così il Conte e il Capitano, armano Gyziana con la sola tormentina e spengono definitivamente il timone automatico, che da solo non ce la fa a sostenere la spinta delle onde sempre più alte.

Iniziano le notti insonni soprattutto per Alfredo che soffre come se a sbattere fosse la sua testa contro un muro e non la vela della barca a causa delle nostre distoniche manovre al timone.
Non so per quale strano caso del destino, quella che doma più agevolmente la ruota del timone sono io. 
Emilio - che poi diventerà il migliore - se la cava, ma per ora ragiona troppo e basa le sue correzioni sul senso della vista, che di notte viene quasi completamente meno.
Adriano, invece, ha la mano molto pesante, essendo abituato al timone a barra della sua barca e ai volanti dei Tir, che pilotava in Islanda.
Il nostro  Capitano, ormai senza sonno da due giorni, privato persino del riposino pomeridiano, mi chiede disperato di aiutarlo e di provare a insegnare ad Adriano il mio modo di timonare.
Ma come faccio a insegnare questa cosa ad un navigatore esperto e un po' permaloso, che ha già attraversato l'Oceano, soprattutto considerando che nemmeno io la comprendo fino in fondo, facendola per lo più d'istinto!?!
Ma come fare a dire di no al Comandante in difficoltà? 
Così inizio ad osservarmi.
Per prima cosa mi accorgo che non guardo le onde, anche perché mi fanno paura. 
Guardo invece un punto fisso davanti: il sole, una stella, lo spicchio di luna o, se proprio va male, l'ago rosso della bussola magnetica.
L'onda che sopraggiunge ora da poppa, ora dal giardinetto, anche se non la vedo, non mi sorprende, perché sento, sulla ruota, l'anticipo dello scossone che darà al timone e lo riesco a correggere quando ancora è semplice farlo, giusto un attimo prima che diventi troppo duro.
Anche il rollio della barca mi aiuta, in quanto è armonico rispetto al timone, come una danza: quando la barca si piega a destra io fletto il ginocchio sinistro e spingo automaticamente  il timone nello stesso verso e viceversa, quando il moto oscillatorio è dall'altra parte, sempre con movimenti leggeri, continui e sincronici.
Però ci sono gli errori. 
A volte questo flusso naturale non funziona e me ne vado al vento o troppo vicino alla stramba; in ogni caso faccio sbattere le vele.
Eppure non è l'onda del mare che mi sorprende! 
Allora cos'è?
Continuo ad osservare e alla fine riesco a stanare il motivo: è la distrazione nascosta.
Proprio perché i movimenti sono automatici, come un'abitudine, la mente è libera di andarsene a briglia sciolta sulla corrente di pensieri che arrivano e se ne vanno, generalmente senza dare problemi.
Ma qualcuno di questi di tanto in tanto, mi aggancia e mi trascina. Questo è il punto di distrazione: l'onda mentale che mi porta all'orza o alla stramba e che non mi fa più essere padrona della rotta.
I pensieri in sé sono come le onde del mare arrivano e se ne vanno in modo naturale verso l'orizzonte liberi, vuoti, né buoni né cattivi. Alcuni però catturano l'attenzione, creano mondi che non esistono, mi coinvolgono in una preoccupazione oppure in un ricordo.
Per non fare errori, quindi, basta  liberarli subito, riconoscendone la natura di onda, che così come viene se ne va.
Ed in effetti funziona! Se sono presente a me stessa e con la mente rilassata, la barca tiene rotta, con facilità.
L'ho spiegato più o meno così ai miei compagni di viaggio, che mi hanno guardato un po' straniti e anche un po' dall'alto in basso. 
Credo che  abbiano preso in considerazione solo  l'analogia con la danza, per il resto strabuzzavano gli occhi.
Tuttavia da quel pomeriggio, senza un motivo dichiarato, o forse perché ciascuno poi durante il suo turno ha trovato il proprio punto di non distrazione, il Capitano è tornato a dormire e fare sogni tranquilli e noi tutti siamo riusciti finalmente a tenere rotta che è una bellezza.
E per  fortuna che ci siamo allenati così per un mese intero di traversata atlantica, perché ora che siamo arrivati dall'altra parte dell'Oceano, questo esercizio ci torna utile e possiamo ripeterlo costantemente per non farci affondare da onde ben più alte e pericolose, che dalla Cina all'Italia si stanno frangendo rovinosamente su tutte le terre emerse del pianeta.
A tutti i naviganti: puntate una stella e con concentrazione tenete rotta senza farvi catturare dalle onde ma lasciatele fluire libere verso l'orizzonte!

domenica 1 marzo 2020

Il Corona.....mento di un sogno.


Soffrendo un pò per un'improvvisa mancanza di vento, iniziamo lentamente l'avvicinamento a Martinica.
Dopo giorni e giorni di completo isolamento  a notte quasi fatta, nell'ora in cui è difficle distinguere anche un oggetto a pochi metri di distanza, incrociamo un'enorme petroliera. E' palesemente in rotta di collisione con noi. La precedenza è nostra, in quanto navighiamo a vela, e manteniamo rotta in modo che i suoi ufficiali possano studiare senza fatica le nostre manovre, ma allo stesso tempo la teniamo d'occhio, nel caso in cui non ci abbiano visto. La nave si avvicina e non accenna a manovrare e per noi, che siamo tangonati, una virata dell'ultimo momento non sarebbe fattibile o comunque non sarebbe indolore e così Alfredo contatta al VHF la petroliera, dopo averla individuata con l'AIS e chiede al suo capitano se ci avesse visto.
Con accento tedesco, un'aria un pò annoiata, dall'alto del suo ponte di comando, ma prontamente, il Capitano ci tranquillizza, dicendoci che ci sarebbe passato a dritta e immediatamente rallenta e manovra. E' stato emozionante scambiarci queste poche parole e ricevere le attenzioni di questo gigante metallico; in fondo è il primo essere umano con cui parliamo dopo quasi venti giorni per mare.
E un giorno nell'Oceano non è fatto di ventiquattro ore: è un eterno presente dilatato che assorbe in sè tutto il nostro vissuto e tutto il futuro.
Il tempo qui in mezzo alle onde ha un respiro lungo, sottile, senza differenze percepibili tra ispiro ed espiro, senza strappi nè tensioni.
Potremmo approdare a terra e trovare tutto cambiato e non sarebbe strano, ma anzi coerente con la nostra storia.
Tra l'altro le poche notizie che ci arrivano con il contagocce via pactor, oltre a quelle di una burrasca tropicale o "tropical wave", che ci gira intorno, per ora senza colpirci, sono brevi frasi sul Coronavirus.
Capiamo che i nostri connazionali stanno passando un brutto momento, ma non riusciamo a comprendere se sia una bolla mediatica o qualcosa di veramente serio.
Ci ricorda una commedia dell'assurdo di Ionescu, il "Gioco dell'epidemia", che io e Alfredo abbiamo interpretato tempo fa a teatro: una malattia infettiva incurabile sterminava la popolazione di un'intera città.
Entriamo con il pensiero in questo teatro dell'assurdo e ci immaginiamo un approdo nelle baie tropicali con barche fantasma, i cui nocchieri giacciono morti ancora abbracciati al loro timone.
Questa dilatazione dello spazio-tempo, l'assenza di vento, il caldo, la stanchezza di un'intera traversata oceanica, il poco sonno dovuto ai turni di notte e alle onde alte fino a sei metri, distorcono un pò le nostre percezioni.
Se però non indugiamo nelle fantasie vuote di improbabili scenari apocalittici, ma le lasciamo scivolare con le nostre stesse risate, questo sentire fuori da un tempo ed uno spazio ordinari, unito alla presenza mentale richiesta da Gyziana, diventa una percezione totalizzante piena di benessere e di amore per il creato che ci circonda e che è stato veramente gentile con noi.
Le tensioni che a volte sorgono, anche in modo impetuoso tra noi, si liberano facilmente in questo spazio caratterizzato talvolta da una via dorata di sole, tal'altra da piccoli pesci volanti che sembrano folletti di una foresta blu, oppure da uno spicchio di luna o dai raggi magici di Venere o di Sirio.
La Natura e la sua magia assorbono la nostra mente e qualsiasi pensiero o emozione non ha alcuna presa per aderire e scivola via, come gocce di mare asciugate dal sole tropicale.
In questo stato di grazia trascorre l'ultima notte nell'Altantico.
Al proprio risveglio, seppure in tempi diversi, ciascuno di noi trova davanti a se l'isola dolce e sinuosa della Martinica.
Si sono rotte le acque del nostro sogno che si appresta a nascere  e il mio pensiero, per associazione, corre veloce ad un essere speciale che mi è cara anche se ancora non è di questo mondo, ma che si appresta ad entrarvi come noi ad atterrare.
E mentre lo penso,  un messaggio, tramite pactor, parte da Bologna ed anche se lo leggerò qualche ora dopo, ci annuncia la nascita di Emma, che grazie a questo Universo dilatato e interconnesso, ho potuto chiaramente percepire.
Altro che morte da Coronavirus! Sorge la vita e contemporaneamente si accendono i colori smeraldo delle coste tropicali, dove con facilità ci ancoriamo e anche noi rinasciamo tuffandoci nelle acque calde e trasparenti della baia di Sant'Anna, poco prima che un tramonto rosso fuoco, ancora più caldo dei nostri cuori emozionati, incendi l'orizzonte dietro il maestoso faraglione del Diamante.
Amici miei, prendete la via dell'oceano anche voi! Basta spegnere le televisioni, allentare la morsa della tecnologia e dei social e stare di più nella Natura, il mondo è ancora un luogo meraviglioso in cui nascere o rinascere!

PS: noi vi aspettiamo sempre!