giovedì 27 agosto 2020

Au Revoir!


Non credevo che un abbraccio vietato  potesse generare poesia.

Istintivamente ci si slancia l'uno verso l'altro ma ci si deve  trattenere. Per incanto però ci si riesce a toccare senza sfiorarsi e la partenza non può mettere più distanze tra  noi.

E' stato più o meno così salutare Giorgio e Gisella e dare la poppa alla Martinica.

Sei volte la luna piena si è riflessa sul loro sassofono e sulle acque dell'isola e con altrettanti rintocchi ha scandito il tempo ed illuminato una via, mentre il mondo nella notte dormiva sonni agitati.

Martinica sarebbe stata solo una spiaggia bianca contornata di palme e fiori, vista tante volte nelle cartoline. Ma è accaduto che il mondo si sia stretto su se stesso chiudendosi in angusti confini, proteggendosi non più da bestie feroci o da eserciti in guerra, né da uomini in fuga dalla fame, ma da microscopici e mortali virus.

In mezzo ai confini chiusi siamo rimasti noi, a dondolare attaccati ad un'ancora, pronti a fuggire dagli uragani.

Eppure ho viaggiato di più percorrendo a nuoto una sola baia che unendo le miglia di navigazione per arrivare fin qui attraversando un Oceano. 

Ho scoperto ogni giorno un nuovo mondo tra le pieghe di uno scoglio. 


Ho imparato a respirare con la bocca, prendere molto fiato e trattenerlo dimenticandomi della necessità dell'aria, per restare più a lungo possibile nel mondo di sotto.

Sono servite sei lune per vedere fino in fondo quanta bellezza e pace si possono nascondere sotto i nostri piedi e capire quanto siano importanti e fragili.

Distratti da tanti falsi bisogni e confusi tra urla di paura e rabbia non ci accorgiamo che il paradiso è intorno a noi.

Io l'ho riconosciuto nelle stelline blu-fluorescenti delle damigelle di mare, nei piumaggi dei lion fish,  negli occhioni dolci dei pesci rossi, nell'eleganza delle murene, nell'incanto di un enorme pesce palla nascosto tra le rocce e nella sinuosità dei serpenti di mare.

Poi anche loro hanno iniziato a fidarsi di noi, a nuotarci intorno senza paura e improvvisamente sono diventati migliaia e ci hanno mostrato tutti i loro sfavillanti colori.


Si sono accesi i pois dei pesci balestra, il blu elettrico  dei pesci trombetta, si sono avvicinate enormi tartarughe e sono arrivati a deporre le uova i variopinti pesci pappagallo.

Nel silenzio del loro mondo, fatto di anemoni e coralli, si è finalmente sciolto il chiasso del mio.

E tutto questo non l'avrei visto, perchè stavo già andando via per cercarlo altrove!

Ho capito che la bellezza è ovunque, ma è più facile ucciderla che notarla. 

Quante volte l'abbiamo divorata in un all you can eat, o  fotografata come trofeo di caccia, intrappolata in un selfie, consumata e dimenticata come un giocattolo usato.

Perchè ci affanniamo a rincorrere i tempi della giungla di auto, dell'aria avvelenata, degli assordanti insulti e parole aggressive diffuse via cavo, via etere, blutooth o WiFi?

Perchè tutta questa fretta?! 


Allora quasi quasi mi fermo ancora un po' da queste parti a respirare aria con la bocca, perchè non so ancora se è più difficile affrontare un uragano o le vorticose illusioni di una cultura bulimica e arrabbiata che, come tutti, mi porto dentro.

I due amici alati


Senza rendercene conto scivoliamo dentro una zona caratterizzata da un vento sempre più debole, incostante e che ruota in modo preoccupante verso i quadranti Sud. Ogni tanto arrivano dei groppi che dovrebbero anticipare una "Tropical Wave", che per ora si limita a lambirci, regalandoci qualche folata di vento e qualche goccia d'acqua dolce.

Ce ne è uno però che ha preoccupato molto la coppia di uccelli bianchi con la coda lunga e sottile che traversa insieme a noi da Capo Verde. Si tratta di due fetonti. Il fronte è piuttosto esteso e, sebbene non si vedano fulmini, c'è una grossa massa d'acqua che precipita in mare: la vediamo alla nostra dritta. Gli uccelli temono di bagnarsi il piumaggio con tutta quell'acqua e di avere difficoltà nel tenere la loro rotta. Nell'aria si sente forte odore di pioggia, le nuvole nere ci hanno quasi raggiunto e la coppia di volatili si separa: uno dei due rimane in alta quota, l'altro scende verso di noi. Vola intorno alla barca  tentando l'atterraggio da prua. Tenta la manovra varie volte e sembra stia per riuscirci, ma alla fine capiamo che le sue sono solo prove e non si poserà almeno che non ce ne sia una vera necessità. Per il momento raggiunge il suo compagno e continuano a volarci vicino, pronti a usarci come zattera di salvataggio se le cose si mettono male. Purtroppo per noi, che li avremmo voluti conoscere più da vicino, e per fortuna per loro, che invece dall'uomo preferiscono tenersi alla larga, la pioggia non è mai arrivata. Si è esaurita a mezzo miglio dalla Gyziana e quando il groppo ci è passato sopra sono rimaste poche gocce sporadiche.

Passato il pericolo i fetonti si allontanano di nuovo e noi ritorniamo ad arrancare senza vento. Ogni tanto si alzano 8 miseri nodi che cerchiamo di sfruttare con una farfalla le cui ali sono lo Yankee e la Staysail. Ma è davvero dura. Dopo una notte e un giorno passati a galleggiare su un mare ritornato olio, arrivano buone notizie da  un messaggio di Danilo via radio a onde corte: "La Tropical Wave è sempre stata avanti a voi e ora pare essersi esaurita davanti a Porto Rico. Siete riusciti ad evitarla. Presto dovreste ritornare ad avere Aliseo costante".

Ed infatti già a metà notte un po' di aria si alza, finchè in mattinata, con un cielo di nuovo spettacolare di un azzurro intenso frastagliato da piccole nuvole arricciate, ritorniamo a essere spinti dal vento portante. 


I nostri amici piumati si avvicinano ancora una volta come a volerci salutare, prima di riprendere rotta verso i Caraibi. Ormai mancano solo 130 miglia, forse non li incontreremo più prima di atterrare, ma è stato un vero onore fare il viaggio con questi due esseri forti e coraggiosi. Li salutiamo come si salutano i grandi amici e uno dei due plana sull'acqua molto vicino a Gyziana prima di scomparire all'orizzonte.

Alla via così amici e tanto tanto buon vento per i vostri incredibili voli.

Lasciamo Capoverde


Forti della prima esperienza oceanica, tutto sommato tranquilla, riprendiamo il mare in pantalocini e canottiera senza cerate e senza apprensione. L'uscita dall'isola di San Vincenzo è tranquilla, il vento allegro ed energico, ma il mare  calmo, perchè le montagne ci fanno da ridosso. Anche questa volta ci scortano allegri banchi di delfini che saltano acrobaticamente davanti alla prua di Gyziana. Insomma sembra una festa, una scampagnata fuori porta.... finchè non arriviamo in mare aperto dove ci aspettano onde nervose e disordinate che ci fanno soffrire il mal di mare e rendono ancora una volta la vita di bordo molto difficile.

Finché  un giorno sentiamo nell'aria  qualcosa di diverso: fa finalmente caldo! Pensiamo bene allora di approfittarne e allestire una sala bagno sulla coperta di poppa e dopo circa cinque giorni finalmente ci regaliamo una doccia!

Ci divertiamo da morire, buttandoci sopra secchiate di acqua salata, tra maldestri tentativi di mantenere l'equilibrio su una superficie convessa e resa viscida dal sapone ed esilaranti scivolate.

Incredibile quanta felicità si possa celare in una semplice doccia! Non è solo un momento estremamente piacevole ma ci lava da dosso definitivamente il mal di mare. Eppure le onde non sono diminuite, tutt'altro. Il mare è andato gradualmente formandosi sempre di più. Adesso dalla nostra poppa ci inseguono dei monumenti d'acqua di cinque sei metri che, come colline azzurre, talvolta superano in altezza i pannelli solari. La maggior parte di queste montagne oceaniche nemmeno ci schizza, perchè si insinua sotto la chiglia di Gyziana portandosela in spalla come farebbe un giovane papà con la sua figlioletta. Quando siamo in cima al gigante buono, dominiamo tutto l'orizzonte schiumoso. Poi iniza la discesa con rincorsa: la barca surfa sul crinale e precipita a tutta velocità nell'incavo tra l'onda che va e l'onda che viene.

Restiamo giù una decina di secondi buoni, durante i quali l'universo si deforma come fosse plastico e si avviluppa su se stesso occludendoci lo sguardo sull'orizzonte: abbiamo mare intorno e sopra di noi, nobile e vivo, vicino e fluido e non possiamo vedere altro. Se ci fosse un'altra barca a pochi metri di distanza, anch'essa nell'incavo dell'onda non la potremmo vedere, figuriamoci un uomo a mare. Andiamo su e giù su queste montagne russe per altri quattro giorni almeno, cercando di non finirci dentro.

Un'altra cosa che cambia andando a Ovest sono i colori. Se prima il mare era uniformemente scuro,


ora per un gioco di nubi, sole e onde si colora per chiazze molto vaste di un azzurro elettrico, come se un faro lo illuminasse da dentro. Sono striature di bluette acceso che contrasta con il nero schiumoso di tanto in tanto macchiato di verde smeraldo quando la cresta dell'onda si arrotola.

Ogni tanto abbiamo degli ospiti con noi. I primi sono una coppia di trampolieri, che tentano l'atterraggio sui pannelli solari per riposarsi, ma perchè ci riescano dobbiamo aiutarli bloccando l'eolico. Anche una rondinella si riposa sul ponte ed infine ci sorvolano due uccelli bianchi mai visti prima, con un piumaggio candido, una coda lunga e sottile, un becco grande e giallo, che ci ricorda quello dei pappagalli. Loro non atterrano ma li rivediamo anche i giorni seguenti, finchè un'ultima volta non ne ritorna uno solo. Ci auguriamo che l'altro sia solo più indietro.

Ci seguono anche albatros solitari a pesca, eppure ormai abbiamo percorso già 800 miglia e la terra per loro dovrebbe essere lontana. ma lo spettacolo più bello ce lo regalano i pesci volanti, ribattezzati fatine del mare. Ce ne sono a migliaia, grigio celesti con le ali sberluccicanti di argento. Saltano fuori dagli abissi ora in gruppo ora sole, volando anche decine di metri prima di rituffarsi in mare. Talvolta, soprattutto di notte, si spiaggiano sulla coperta della barca. Quando ce ne accorgiamo riusciamo ad acchiapparli nonostante sguiscino e si dimenino, e a ributtarli in acqua a volte però li troviamo già morti e comunque li restituiamo al mare.

Qualche volta il sole dipinge dei quadri all'alba e al tramonto e quando succede restiamo in contemplazione finchè l'ultima sfumatura non si dissolve come un mandala di sabbia. 

Se di spettacoli dobbiamo parlare, il mio preferito rimane la notte. Mi sono scelta il turno dalle 3 alle 5:30 perchè a quell'ora le stelle che preferisco sono basse all'orizzonte e mi fanno da bussola. La più bella è Sirio (almeno credo), una grande stella a metà tra la Cintura d'Orione e il Cane Minore. Ce l'ho proprio di fronte, è luminosissima e fa tre lampi di luce: uno bianco, uno rosso ed uno blu. Seguendo quei colori ritmati inizio a navigare in un fluido di luce buia, puntiforme, vuota e viva in cui tutto sembra interconnesso. Non mi è difficile allora immaginare le persone care nel loro letto che dormono, mentre vengono inondate da questi raggi ed insieme a loro tutto il mondo e i suoi abitanti conosciuti e sconosciuti, visibili e invisibili.


Preferisco i giorni di stelle, ma anche la luna è stata una dolce compagnia. L'ho avuta allo Zenit quando era piena, poi via via più giù alle mie spalle, perchè tardava sempre più nel sorgere. Non la potevo vedere  ma la sua luce fredda era come energia pura che mi pioveva sopra e che tutto rendeva magico e vibrante.

Finchè una notte al cambio di turno tra me e Alfredo, mentre gli passavo le consegne, questo Universo perfetto di pace e luce non è stato squarciato, come se un fulmine scagliato da Giove contro Nettuno stesse annunciando una guerra tra gli Dei di sopra e gli Dei di sotto. Alfredo, che guardava dalla parte opposta alla mia,  ha avuto un fremito di paura nel vedere quella saetta. Ma lui ne poteva vedere solo il riflesso sull'acqua. Io - che guardavo a Sud -ne sono rimasta folgorata. Per fortuna non era l'annuncio di una terribile tempesta ma un'enorme meteora distaccatasi da chissà quale mondo e consumatasi in raggi verdi, azzurri e viola al contatto con la nostra atmosfera. E con lei nel cuore per oggi vi saluto e vado a dormire.