lunedì 18 novembre 2019

Tenerife dantesca

E' da molto tempo che siamo ormeggiati a Garachico, al centro del mandala costituito dalle isole Canarie, sotto le pendici del Teide, il grande vulcano di Tenerife.
Questo piccolo e unico porto in tutta la parte Nord dell'isola è un posto magico.
Ci sono solo le barche canarie di residenti che vivono da queste parti e di pochi sparuti navigatori, come noi, che arrivano qui attratti dalla pace e tranquillità del posto.
Chi lavora con i charter non si avvicina nemmeno a Tenerife Nord, perché non potrebbe uscire giornalmente con i turisti. 
Il porto, infatti, è esposto al vento prevalente, difeso contro le onde oceaniche da una muraglia di 15 metri e da un'opera geniale di ingegneria, costituita da un ingresso quasi a spirale, che lo protegge anche dalla risacca.
Fortunatamente il turismo mordi e fuggi, mangia e sputa, arriva e distruggi  non ha tempo da perdere per aspettare il tempo giusto o per cercare i ridossi un pò nascosti. 
 Il mare è possente!Sopra di noi la montagna è lussureggiante di vegetazione.
Per fare il bagno ci sono delle piscine naturali, che il mare da solo ha scavato tra le rocce e che l'uomo ha collegato tra loro, in modo intelligente.
Ogni tanto si addensano le nubi di umidità, che scendono dalla montagna, innaffiano la foresta e vanno via spazzate dal vento, lasciando dietro di sé arcobaleni meravigliosi. Non ne ho mai visti tanti come a Tenerife. Archi completi e così vicini che sembra che ci puoi passare la mano attraverso.
Per arrivare in paese  dal porto c'è una strada pedonale, che costeggia l'oceano e dove la mattina all'alba ho preso l'abitudine di camminare fino al paese successivo.
Le case sono tutte antiche, in pietra e con portoni e balconi di legno stile coloniale.
Il centro è una piazza parco, con un chiostro dove la domenica c'è un mercatino delle verdure,  e qualche artista di strada che suona la chitarra. Qui i bambini giocano da soli fino a sera con giochi costruiti con le loro mani e poi ad un'ora prestabilita cominciano a rientrare ognuno nella sua casa senza che nessuno li chiami.
I paesi e le cittadine intorno sono tutte così, uno più bello dell'altro, una più autentica dell'altra. 
Volendo fare un po' di strada, in barca o in auto, si può arrivare a Punta Teno o ad una baia segreta più a Nord. 
E quando le raggiungi, arrivi in paradiso. 
Prima della punta il vento che viene da terra solleva l'acqua, la polverizza in arcobaleni salati ed è così potente che riesce a scarrocciare anche la nostra barca di 20 tonnellate. Poi all'improvviso il nulla, bonaccia totale ed un mare verde cristallino, spiaggette incastonate tra le rocce  a picco sul mare, acqua inspiegabilmente calda e tramonti mozza fiato. Abbiamo anche fatto rada e dormito con la luna piena, con i cieli stellati e con le grida delle berte in calore.
Per noi e i nostri ospiti, Tenerife è stata sempre e solo questo, fino a quando Alfredo e Romina, non ci hanno chiesto di andare un giorno ad Adeje a sud per salutare alcuni amici. Lì c'è anche l'ultimo centro di Namkhai Norbu che volevo visitare da tempo e fiduciosi partiamo verso Sud, l'area più turistica, che fino ad ora avevamo evitato.
Prima di Adeje la mia personale immagine dell'inferno, era uno studio legale di Milano che si occupa di alta finanza. Ma almeno per stare lì  ti pagano profumatamente!
Arriviamo al porto, unico posto da cui vedi una piccola parte di orizzonte occluso, per il resto, da osceni condomini ad alveare e risaliamo per cercare gli amici. Il primo lavora  nel pontile delle moto ad acqua, ciambelloni e altri giochi acquatici. Siamo contenti per lui, perché l'attività è florida, ma il posto in cui sta non ci piace per nulla. Il secondo invece lavora come cameriere in un ristorante i cui tavolini sono all'aperto, ma interrati vista parcheggio. Non solo il panorama è sugli alveari, ma non c'è aria. Lui stesso è pallido e stravolto dalla stanchezza e ci dice chiaramente che qui proprio non gli piace ma è l'unico posto in cui si lavora.
 Continuiamo a salire per i gironi infernali, che qui sono muniti di  scale mobili all'aperto, alla ricerca di un supermercato. Il primo girone ha solo patatine, snack dolci e salati e puzza di ketchup.
Il secondo solo hamburger, hot dog e patatine e puzza lo stesso di ketchup. Il terzo girone è quello delle paelle e dei gelati, ma puzza di ketchup anche questo. Che incubo.
Al quarto piano della montagna dantesca, siamo completamente storditi, vediamo solo insegne colorate, tavolini,  menù con le foto, beautyfarm, e moltissime farmacie e non riusciamo a scorgere nessun supermercato. Siamo costretti a chiedere ed è pazzesco, perchè era esattamente di fronte a noi, ma non riuscivamo a vederlo camuffato da tutto questo orrore! Siamo scappati via, pensando a come abbia potuto l'umanità, di cui facciamo parte, stuprare in gruppo un'isola così bella e giovane, ripetutamente, senza sosta, senza pietà e privarla di tutto: della bellezza, dello sguardo sul  mare, dell'anima.

Che tristezza infinita pensare che si fanno soldi distruggendo Paradisi per poi goderseli in vacanza all'Inferno!


E ripartiamo a vela  circumnavigando le montagne verdi del Nord, il Pico della Teide, le nostre baie segrete, i faraglioni della punta, riconoscendo dal mare ad uno ad uno i paesi che ci hanno ospitato, il centro Rigdzin sulle pendici del vulcano in cui sono stata tante volte a meditare come per restituire a Tenerife la sua bellezza perduta.
E mentre il vento gonfia le vele e gli occhi si riempiono di nuovo di orizzonte e di azzurro, il mio pensiero va a Luigi Russo che i paradisi li ha difesi lottando fino al giorno della sua morte. Mi sembra di vedere il suo volto in una nuvola e mentre lo saluto mi riprometto di continuare le sue battaglie, proteggendo sempre, anche con le spuntate armi di una matita, la fragile bellezza che ancora sopravvive intorno a noi.

Buon vento amico mio!


sabato 19 ottobre 2019

Quando il vento ti porta tra le stelle!

Vorremmo salpare verso La Palma.
- "Estas Locos"! Strabuzza gli occhi il pescatore di tonni.
E ha ragione! 
Appena usciti dal cono dell'isola c'è una forte accelerazione. Se l'Aliseo soffia costante a 20 nodi su tutto l'Atlantico, quando arriva in prossimità delle isole, si apre in due all'altezza delle loro montagne e raddoppia la sua velocità in ambo i lati. 
Inizialmente abbiamo pensato trattarsi di un fenomeno simile al vento catabatico, ben conosciuto in Grecia e in Albania. 
Ma le accelerazioni sono profondamente diverse. Intanto non sono rafficate, ma si tratta di un vento pieno e costante: la sua intensità varia dai 40 ai 30 nodi orari, man mano che ci si allontana dall'isola, e  la fascia interessata può essere anche di 15 o 20 miglia.
Tra Gomera e Palma dobbiamo attraversarne due di queste fasce e quindi bisogna mettere in conto che tutta la traversata è una zona di accelerazione. Per di più l'andatura è di bolina.
E così torniamo indietro quasi subito.
Un nostro amico, Alvaro, con una barca di soli 7 metri, ci prova il giorno dopo. Lui sembra un vero discendente dei Guanci, il popolo nativo delle Canarie, biondo, ma scuro di carnagione, zigomi alti, occhi verdi e dolci, sempre nudo. Naviga da solo e sta spesso con uno strumento in mano per aggiustare qualcosa.  Dopo tre ore torna indietro anche lui, con il Genoa sbrindellato dal vento. Il terzo giorno ci prova una goletta oceanica, ma anche loro tornano indietro.

Finché al quarto giorno, approfittando di un leggero calo dell'Aliseo e di una dritta del pescatore, che ci consiglia di circumnavigare l'isola fino a Nord e poi fare rotta da lì, partiamo noi, con il nostro schooner d'alluminio.

Siamo super equipaggiati: tutto in ordine e in sicurezza dalla sera prima, sopra le cerate abbiamo indossato i giubbotti autogonfiabili e ci muoviamo solo con le cinture di sicurezza.
E' meraviglioso: voliamo! Le onde che arrivano nel pozzetto ci elettrizzano senza spaventarci. Stiamo tagliando la spuma dell'oceano di bolina come degli Albatros, timonando a mano, come facevano i marinai di altri tempi.
E' così che ci vede un uomo che col suo furgone si arrampica sui tornanti di lava sopra Fuentecaliente a Sud di La Palma. Glielo leggiamo negli occhi, quando ci viene a salutare in porto, riconoscendo la barca.
Come sempre dopo queste botte di adrenalina, non avresti voglia di fare nulla, ma succede che ci prestano una macchina e ce ne andiamo girovagando nell'isola, puntando il Nord.

Man mano che saliamo di altezza, i paesi stile coloniale, con i bananeti e i loro manieri, lasciano il posto alle terrazze coltivate a vigneti e a case bellissime di pietra e coppi, che ricordano le antiche dimore di Othonoi.
Anche i villaggi che incontriamo hanno un sapore particolare, abbarbicati sull'Oceano con i colori accesi dell'ocra, verde, rossi e blu.
Nei tornanti ci capita di stare in fila dietro un vecchio furgone, fumante acre smog, con  a bordo tre mucche che soffrono il viaggio.
Poi finiscono anche le case isolate, l'aria rinfresca e la montagna si riveste di un bosco di pini giganti, che crescono intorno ai crateri dei vulcani spenti.
Dall'altra parte, nel versante Est, le montagne si velano di nubi di umidità che permettono alla foresta pluviale di rivestire ogni cosa.
Noi ci fermiamo nel punto più alto dell'isola, roccioso e brullo.
Qui in cima ci troviamo in una sorta di Area 51. E' pieno di cartelli che vietano l'ingresso, ma le sbarre sono aperte ed entriamo, mentre si fa già imbrunire.
Disseminati nel nulla e in un silenzio ovattato ci sono una decina di giganteschi telescopi astronomici, che iniziano ad aprirsi e ruotare. Due di questi sono i famosi MAGIC 1 e MAGIC 2: due enormi parabole che ascoltano l'universo captando raggi gamma e onde gravitazionali.
Il desiderio di guardare attraverso quei cannocchiali è irresistibile, per quanto anche vedere le stelle ad occhio nudo, da qui, nel buio totale della luna nuova, con la nebulosa della Via Lattea che mostra anche il suo secondo arco, è emozionante quasi come nuotarci dentro.
L'unico essere vivente su questa bellissima e silenziosa sfera azzurra, vista da questa prospettiva è la Terra stessa.
In armonia con la sua  Luna e gli altri pianeti, ruota attorno alla sua stella, in un unico lento procedere di tutta la Galassia.
L'umanità con i suoi conflitti semplicemente non esiste  a questi orizzonti, e quando la mente si allarga, svuotandosi, scopre la propria irrilevanza e tutto diventa straordinariamente leggero, semplice e immensamente profondo.



Dedicato alla prof. di astri e fantasia, la bella Mammoli!


domenica 25 agosto 2019

La strenua resistenza della Gomera

Es la hora de emprender el camino! Gomera di nuovo ci chiama.
Alcuni chilometri di canyon pietrosi, strapiombi sul mare, vallate coltivate e roques solitarie e iniziamo una discesa al centro della foresta.
Un letto di terra e foglie umide, svirgolate di farfalle e tutti i toni del verde. Scintillano l'azzurro e l'oro sopra la tua cortina di foglie vibranti.
C'è sempre un sasso per farci superare un rigagnolo d'acqua,  un ramo morbido di muschio cui afferrarci per non scivolare, una radice dove puntellarci.
La tua foresta subtropicale vaporizza l'essenza delle erbe aromatiche, dei fiori viola e arancioni, delle calle bianche e delle ginestre. Respirarti sa di fresco e di buono.
Così storditi giungiamo al centro del tuo cuore.
Un manto di felci secolari attenua l'impatto dell'ultimo salto.
Ci voltiamo tutti e quattro lasciandoci alle spalle un panorama mozzafiato sul Teide e ognuno senza fiatare si accomoda su un sasso e resta
ipnotizzato dal "ruido" dell'acqua che precipita fino ad un lago puntellato di fiori.
E' qui che tu ci canti ancora e ancora delle nostre storie dimenticate, quando tu eri ovunque e noi non eravamo altro che questo: un suono che scroscia e teneramente gorgoglia, che precipita e fluisce, e nel frastuono della sua energia, improvvisamente si allarga e vibra della lenta caduta di una foglia, del battito d'ali d'una libellula e del tonfo soave di un pietrisco.
Oh isla de mi corazòn, escùchame por favor!
Mantieni questa intensità e resisti resisti,  arginando i deserti!
Ma tu non mi ascolti!
Que pena y que dolor vedere, dopo la magia del tuo cuore, gli scheletri delle tue ferite. Gli alberi sopra la Valle del Rey, sono croci annerite dal fuoco, lo stesso che proprio ora continua ad inghiottire  ettari di boschi appena un'isola dietro, e intere foreste un continente più a ovest.
Ma sono io che non ti ascolto o forse non so vedere!
C'era una nube in cielo, proprio sopra la tua baia di acqua più azzurra e trasparente, aveva la forma di un granchio prima che il vento la disperdesse.
Stava lì a ricordarmi la mia ferita, quel piccolo neo che non era innocuo,  frutto di un sole troppo caldo e che ora sembra il morso di uno squalo.

Le nostre cicatrici ci servono
- vero Gomera?
 per non dimenticare,  aprire una via e non smettere di lottare!

- Più o meno  è così, ma anche tu sbrigati a cambiare perchè,  almeno finchè  io e te non saremo una  sola - mia cara Vale - proprio  non è scontato che sopravviva la gentilezza della mia Foresta Pluviale.


domenica 18 agosto 2019

Il campanaro rock


Mentre Giuseppe e Giorgia avranno già fatto sei o sette chilometri su per un sentiero nei boschi della Gomera, io e Valentina scegliamo di proseguire alla cieca lungo una più urbanizzata e tortuosa strada, l'unica, con la speranza di incontrare prima o poi un paesino da scoprire.
Lo troviamo, si chiama Hermigua. Carino, colorato, silenzioso, soleggiato.
Per le vie non c'è nessuno, posti auto vuoti e disponibili, parcheggiamo.
Dopo venti minuti di paseo ci rendiamo conto che non abbiamo incontrato ancora nessuno.
Piccole vie e calli che salgono e scendono, un pesce in ferro battuto appeso sotto il balcone di una casina, un bar che
sembra chiuso chissà da quanti anni.
Arriviamo di fronte ad una piccola chiesetta con il suo sagrato ordinato e pulito antistante il campanile fatto di lava e bianco di calce.

Dalla più piccola delle sue tre campane si sente un rintocco, poi un altro, ripetuti con precisione e costanza da un piccolo batacchio elettrico tant'è che istintivamente guardo l'orologio e in effetti è mezzogiorno in punto.
Stavamo per andare via ma restiamo a guardare il campanile perchè accade che il din dan dell' orologio comincia stranamente a cambiare ritmo ed osservando meglio si intravede una mano che si sostituisce al meccanismo automatico muovendo avanti e indietro il batacchio di corda originale,  producendo un ritmo mai sentito prima da una campana di una chiesa.
Il risultato è un mix perfetto tra il rintocco del mezzogiorno e il suono prodotto da quella manina sbucata dal nulla dando così vita ad un vero e proprio assolo di percussioni con un ritmo incalzante degno del miglior John Bonham!


Restiamo sbigottiti a guardare ed ascoltare il nostro frate campanaro rock!
E, nel finale della sua performance, saluta i fortunati spettatori di tutta la piazza che applaudivano ancora increduli, io e Valentina.
Scopriamo dopo che si era trattato del richiamo alla festa di santo Domingo, quella sera alle 22.



martedì 13 agosto 2019

La Gomera incantatrice

Gomera, un sonido solo como el gozo que nunca muore màs.

Un tuo soffio improvviso pone il fiocco alla cappa e restiamo così ... sospesi sulla linea del fetch, tra la calma del Teide e i tuoi sospiri impazienti.

Poi inizi a sussurrare una melodia, chiara, precisa che tutti sentiamo, e quando sei sicura di aver catturato la nostra attenzione usi il boma di Gyziana con la maestria di una solista di flauto traverso.
 Ti diverti alternando ai toni i semitoni e generando suoni suadenti che fanno di noi le tue creature incantate.

Oh nostra isola ammaliatrice, siamo definitivamente tuoi!

Indossiamo le nostre cerate, superiamo la linea del vento e ci lasciamo risucchiare da te, come l'ago della bussola al suo nord magnetico, veloci, felici, di bolina e schizzati d'onda.

Poi d'improvviso molli la presa dalla nostra prua, il mondo si calma e ci fai entrare nella tua prima rada a semicerchio per un bagno protetto, un'amaca e un tramonto.

Sei bella  vestita di luna e con il tuo sorriso di stelle, quando stanchi andiamo a dormire.
Ma tu che non vuoi star sola almeno questa notte, gridando ci veni a svegliare.
Volano i tuoi bianchi emissari  sulle nostre teste a ricordarci le urla degli strani uccelli di Antipaxos in un'altra notte buia.
Sei totalmente nuda ora che la luna è andata a dormire e se anche l'Oceano è calmo, ci scuoti come neonati in una culla che una balia impazzita fa ondeggiare fino al punto prima del giro completo.
Al di là delle ali bianche delle arpie piumate, si distende completo l'arco della via lattea e sopra le rocce sfila una processione di stelle tremolanti.
Il mare nero è tutto puntellato di esseri iridescenti.
Non possiamo dormire e restiamo lì stupefatti ad assistere alla tua ronda notturna intorno al Nulla.

sabato 27 luglio 2019

Cara Giulia

Cara Giulia,
ti ricordi, vero, dei piccoli disastri che ti sono capitati nel credere ingenuamente ai luoghi comuni, ai falsi miti, alle frasi sentenziose?
Quelle che dilagano su tutti i social e a cui finiamo per credere come dogmi?
Ti vedo ancora sdraiata sul letto a guardare il soffitto attraversato da una "fracetana", pensando tanto "le fracetane non cadono mai" mentre lei precipita sulla tua faccia, e tu non puoi neanche urlare se no rischi di inghiottirla!

E ti ricordi quel bagno a Porto Kaio, con il cielo nero, pensando tanto "con la tramontana non piove", ma proprio mentre lo pensi guardi su, ti viene in mente la "fracetana" e un gocciolone enorme ti precipita sul naso, prima di scoppiare in groppo con tuoni e fulmini!

E ci ripensi mai alla baia selvaggia a Sud di Itaca,  dove non volevo andare per le vespe, ma il capitano ci ha portato lo stesso e quelle ci hanno attaccato, come da copione?
Tutti siamo scappati schiamazzando sotto coperta. Tu invece sei rimasta lì, perchè "se stai ferma le vespe non ti pungono"! Ma ferma ferma. Nemmeno la bocca devi aprire per urlare quando ormai ti hanno punto!


Bene, questa volta cara Giulia ci sono cascata io!
A quanti skypper ho sentito dire la stessa frase con diverse varianti?
- "Molto più ostico il Mediterraneo dell'Oceano",  diceva quello che suonava la pizzica nel Canale d'Otranto.
- "Il Mediterraneo è imprevedibile, mentre l'Oceano è sempre costante" - diceva quell'altro che raccontava barzellette attraccato al pontile.
- "Le onde in Oceano nemmeno le vedi, perchè non sono frangenti come nel Mediterraneo", detta impugnando una sigaretta con la destra, lo spritz con la sinistra e il timone con le dita dei piedi.
Sti cazzi!
Ascoltando cotanta esperienza,  me ne sono andata nell'Oceano, con una paglietta di rafia e un pantalone di lino: risucchiata la prima, lacerato il secondo nel giro di un minuto.
Previsioni regolari e partiamo, ma nel mezzo del nulla il "prevedibile Aliseo" rinforza in un crescendo fino  ai 48 nodi, le onde "che tanto sono regolari e nemmeno le vedi perchè ti sollevano" si frangono un pò da prua, un pò da mascone, un pò dalla murata, come gli dice a loro, ma tutte si riversano su di noi, trovando il modo di entrare nella cerata e bagnarti le mutande.
Secchiate d'acqua così e l'anemometro che sfiora i 50 nodi, nemmeno nei peggiori incubi li avevo visti.
Ora non solo lo capisco ma lo sento sulla pelle cosa vuol dire per i migranti affrontare il mare senza equipaggiamento, e magari con i vestiti buoni o in tasca la pagella!
Sti cazzi!
Rivoglio la mia paglietta di rafia e i pantaloni di lino!
E anche loro rivogliono la loro terra! Ma ormai l'hanno svenduta alle mafie. Come me che ho lasciato le più facili veleggiate tra le isolette della Grecia e indietro non è mai facile tornare.
Poi quando ormai non ci credi più scorgi terra: ostile, con raffiche  e senza porti sicuri.
Ma è comunque terra.
Finche' non trovi una rada dove dare ancora, che tenga nonostante il catabatico.
Il giorno dopo non ti sembra vero che quel mare sia calmo e cristallino come il tuo.
Anche a loro il primo porto sicuro sembra un miraggio.
Poi mentre nuoti, sotto di te, sfiorano la sabbia due razze enormi, e non fai in tempo a ricordarti se sono quelle  che ti possono uccidere con la coda o quelle altre innocue, che per fortuna sono passate oltre.
Per un momento ti attraversa la testa il pensiero fatidico:
- "Non è che ci sono gli squali, qui?".
Sto per tranquillizzarmi con l'ennesimo falso mito, ma prima di completare il pensiero e fare danni, ti penso, Giulia, e stacchiamo insieme la spina della mente appena in tempo  ...... Basta ripetere a mo di mantra i luoghi comuni!
.... é tutto dall'Oceano. FINE DELLE TRASMISSIONI

domenica 14 luglio 2019

E poi ci sono i viaggi interni




Un giorno come un altro ti fai la doccia, e ti accorgi di lui: un piccolo neo, che però non avevi mai notato.
Che sfortuna - pensi  -  proprio una settimana dopo la  visita dermatologica!
Avevi chiesto al dottore della ASL di farti la mappatura dei nei, ma lui è superficiale e distratto, tu cerchi di mostrarglieli tutti, ma lui fa il simpaticone e ti liquida in cinque minuti. E così questo non lo vede.
Ti insospettisce perché è scuro, irregolare ma soprattutto ha la forma di un granchio.
Ma tanto  sei su una barca a vela nell’Oceano ormai  e non puoi fare niente se non tenerlo d’occhio.
Poi  torni in Italia, ormai ti sei affezionata a lui, non sembra cresciuto, ma quella forma da granchietto  continua a non piacerti.
E così prendi appuntamento, questa volta a pagamento. Che poi anche l'altra hai pagato il ticket (giusto due euro di meno!).
La visita è accurata,  ti senti in buone mani. Anche il dermatologo ha dei dubbi,  e così ti devi separare dal tuo nuovo amichetto nero.
L’intervento è sereno. Chiacchieri tutto il tempo con lui dei tuoi progetti di vita: delle Canarie, della  goletta oceanica, dei viaggi fatti e di quelli in  programma, tanto non sarà nulla e continuerai a solcare i mari.
Poi, due giorni prima della partenza, arriva l'istologico: c’avevi visto giusto, non era un neo!
Ringrazi innanzitutto il tuo intuito, il secondo dottore che ha ascoltato i suoi dubbi, tutte le dakini del cielo per essertene accorta in tempo. Vorresti imprecare contro il primo medico, ma hai bisogno di tutto il tuo karma positivo per la seconda operazione d’allargamento e ti trattieni.
La persona che ti accoglie in reparto è odiosa, ti dice, con fare accusatorio, che non hai le carte in regola, non ti manda via, ma nemmeno ti assicura che ti opera. In compenso ti fa credere di essere lui il chirurgo e ti lascia aspettare con questo dubbio addosso tutta la mattina. 
Entri nella sala operatoria e c’è solo lui. 
Cerchi di bloccare le lacrime, che invece spingono come delle infami traditrici. 
E cosa ottieni? Che lui ti consola accarezzandoti, ovviamente dove la pelle è nuda.
Stai per scappare, con scenata, ma per fortuna entrano i veri chirurghi, come vedere due angeli nella tempesta.
Finisce anche questa.
I tuoi genitori ti vengono a prendere, perché non riesci a camminare,  e la loro gentilezza e premura insieme a quella delle amiche e degli amici, sono un balsamo.
Ma loro la sera se vanno, l'anestesia pure. I 40 gradi no.


Resti tu e il dolore, su un divano bollente.
E qui succede che anziché disperare, provi un'immensa empatia per le persone che conosci e che sai che stanno soffrendo, poi per quelli che hai visto in ospedale e che non conosci ma pure stanno soffrendo, infine per tutti, anche per chi non esiste più e per chi non è mai esistito.
Forse nemmeno tu esiti! 
A questo punto, tutto si fa sottile e rarefatto, anche il dolore si svuota, diventa leggero e ovattato, come il resto e volano come nubi pensieri strani. 
Pensi che i muri sul mare non si potranno mai costruire, perché l'acqua è fonda.
Che il flusso dell'onda non si potrà mai fermare.
Che urlano Salvini e la Capitana dall'altra sponda, ma il vento è  forte e l'ultimo insulto nemmeno rimbomba.
Molti sventolano bandiere nere, altri rosse, ma da qui sembra solo una  danza tra donne secche e uomini con la pansa.
Il ritmo incalza e un fumogeno rosso si alza sul mare, tutti accorrono: 
- è un nuovo sbarco?
- ma no sarà qualche santo in festa!
- forse sono le donne che hanno vinto il mondiale?
- sarà un falò, una cosa normale! 
Restiamo, andiamo, scappiamo, urliamo, balliamo.
Fermati, respira, ascolta: 
E' UN MAY DAY
e siamo tutti su questa barca tonda
che, o stiamo attenti, oppure affonda!

sabato 29 giugno 2019

L'incanto delle Montagne

Atterrata a Barcellona, non proseguo come da programma per le Canarie, ma prendo un altro volo per Ginevra. Da qui un treno e poi un pullman vuoto che si inerpica per le montagne.
Mi lascia nell'ultima valle prima dei ghiacciai e a piedi raggiungo uno chalet ai margini del bosco.

Dalla mia stanza si scorgono le due montagne più alte ancora piene di neve ed un ruscello che precipita con balzi e cascatelle nel torrente principale della valle. Tutti i sentieri partono dal suo letto e poi, in direzioni diverse, iniziano a salire.
Scelgo quello che passa per i boschi.
Il cielo è chiaro a Sud e ad Est, mentre da Nord arrivano, ad intervalli regolari, dei giganti grigi e densi. Superato il confine del monte si fermano e  poi, appena ne riconosco la forma e la suggestione che mi danno, come per incanto si dissolvono, lasciando il posto alla successiva nuvola. Sfilano così un bimbo ammalato, un chirurgo che opera, una donna disperata, una mucca che va al macello, un soldato che spara, un neo degenerato, una nave di profughi in avaria, una flebo, un cavallo soggiogato e così via per molto tempo, fino a quando tutto il cielo ritorna chiaro.
Su per il bosco il sentiero si fa stretto e ripido, gli alberi coprono il sole e non fanno crescere piante nel sottobosco.
Mi fermo per riposare e noto qualcosa di innaturale, ma non riesco a mettere a fuoco cosa possa essere. Poi il rumore di un sasso che io stessa ho fatto ruzzolare me lo fa capire: il bosco è
completamente silenzioso! Non s'ode nemmeno un uccello, eppure a valle avevo notato insetti nei prati, fiori di campo, api e farfalle; nelle pozze d'acqua avevo visto nuotare i girini e sentito il gracchiare delle rane .... ma qui non c'è vita.
Mi si raggela  il sangue e me ne vado senza fermarmi fino al prossimo rifugio.
Chiedo a Francoise e Luc, da cui ho affittato una stanza, della storia dei boschi e mi dicono che in passato c'era una grande foresta selvaggia e che quando loro erano bambini era pressocchè intatta. Poi piano piano un pò per aprire pascoli, un pò perchè serviva legna è diventata sempre più rada fino a quando un grosso incendio non l'ha distrutta quasi completamente.
Luc aveva gli occhi lucidi nel raccontarlo e su quelle lacrime che non riuscivano a scendere potevo vedere riflesse le fiamme, il fumo, il terrore e le grida degli uccelli, degli insetti e degli altri animali piccoli e grandi che cercavano disperatamente di salvarsi.
Chissà forse per questo nessuno di loro è ritornato ad abitare il bosco.
Da qui in avanti non posso permettermi molte pause perchè i tratti di cammino sono lunghi e mi muovo che è luce ma il sole non è ancora sorto.
Nel pomeriggio inizia a piovere e sono così stanca che mi fermo sotto la rientranza di una roccia, aspettando che spiova. Ma il tempo peggiora, piove sempre più forte, il cielo è plumbeo e ogni tanto appare viola elettrico prima che il rombo di un fulmine scuota l'aria e il cuore.
E' impensabile muoversi e così mi addormento lì, su un letto di foglie.
Una goccia ghiacciata sul viso mi sveglia. L'aria è rarefatta, è l'ora blu indaco, in cui cielo, monti  e foresta sono avvolti da ciuffi di nebbiolina grigio azzurrognola. Questa volta il canto degli uccelli è una presenza tangibile e rassicurante. Il loro cinguettio e il ronzio degli insetti sono crescenti e mi fanno capire che è il crepuscolo prima dell'alba.
Sto per alzarmi, quando due occhi grandi e fermi, mi inchiodano nella posizione presente. Non mi lasciano libertà di sguardo, al punto che solo quando sono sicuri di avermi immobilizzata, allentano la presa e mi permettono di riconoscere in loro un giovane cervo dal manto rosso. Ruotano e accompagnano il mio sguardo a perdersi in altri occhi languidi: quelli di sua madre. Immensa e bellissima sembra che abbia un sorriso luminoso e dolce, che tutto rischiara. Metto a fuoco i raggi della luna piena che splende sopra di lei. Provo una felicità e una gratitudine immense per aver visto due esseri così speciali. Resto incantata e solo dopo un pò mi accorgo di una terza presenza.
Immobile e austero, come la notte che è ancora presente, avvolto dalla foschia che lo rende ancora più regale, con lo sguardo fisso davanti a sè: un nobile maschio di cervo, fiero e severo, con le corna che superano in altezza il profilo lontano del ghiacciaio. Accenno un movimento della mano e mi guarda di sbieco fulminandomi. Capisco che non mi è concesso disturbare nemmeno con il respiro.
Tutti e tre ora guardano davanti a loro, tra cespugli intricati e alberi fitti. Non so quanto tempo passa così. Le mie gambe sono ormai addormentate e non le sento più, non sento più nulla nemmeno il sussurrare dei pensieri. E così quando la boscaglia si muove e bruisce non sento nemmeno la paura.
Il cervo accenna un movimento del capo, lanciando rugiada alla luna, poi silenzio di fantasmi, l'aria è immobile e all'improvviso vibra di un suono profondo come un ruglito, gutturale e doloroso.
I tre sono immobili e non badano più a me. Il bosco si apre fragorosamente e una pelliccia nera si trascina fino ad una pozza d'acqua per bere.
Forse un bracconiere l'ha ferita a morte, ma lei lotta per uno scopo che è più grande della sua vita affidandosi ai tre cervi che la sostengono da lontano.
Il cielo piange con goccioloni di rugiada, ma non c'è tristezza piuttosto incanto. Chiudo gli occhi per non essere vista e quando li riapro il sole è sorto, davanti a me non c'è più nessuno ma la pozza d'acqua è rimasta rossa di sangue. Guardo in alto come per cercare l'animale: il cielo si è fatto tutto rosa e viola dei colori dell'alba e dai due monti guardiani un doppio arcobaleno mi fa sperare che comunque sia abbia trionfato la vita.

venerdì 24 maggio 2019

Si prospetta una navigazione difficile!


E  che dire di questo viaggio via terra tra le strade di sempre?

L’approdo è direttamente in Tribunale: un’intera giornata ad aspettare di capire chi è il nuovo giudice, per chiudere il verbale con un ennesimo inutile rinvio. La 10 ultima udienza di una causa iniziata quando ero trentenne e ci credevo ancora!

Poi le votazioni: una passerella di manichini che proclamano un cambiamento.
Ancora cambiamento! A furia di passare dalla pentola alla brace, finiremo nella brexit anche noi.

Cerco di seguire i dibattiti. 
Ma poi alla fine pagare o non pagare l’ingresso nelle chiese, tagliare l’erba al Coni, nelle periferie o nelle marine,  aprire la facoltà di medicina o avviare i giochi del mediterraneo che idea nuova sottenderà?
L’idea più carina mi sembra IO (voto) ROLLO MARIA. Per fortuna non è salviniana, né annibaliana, né a’matriciana.
Ma sì tanto siamo tutti contenti perché il Lecce è di nuovo in Serie A. Tutti compatti in piazza coi fumogeni, senza cariche e manganelli, tutti amici tutti fratelli.
Possiamo chiudere tutto, confini, porti, cuori …. basta che lasciano aperti gli stadi  … se no lì sì è rivoluzione per davvero.
E nel resto dell’Europa? In molti vogliono riavere le loro monete, le destre più o meno silenti aumentano, le sinistre sempre a giocare a fare i comunisti. Le donne sempre più relegate a quote rosa, sempre più vilipese e massacrate, come del resto l’ambiente.
Nemmeno l’auto combustione di Nostra Signora, nel cuore della Francia, chiaro segno d’avvertimento che si è passato ogni limite, è stata presa in debito conto.

Signore e signori siamo oltre il 90 minuto e STIAMO PERDENDO!

L’impero sta crollando! Le macerie di cristallo piombano negli oceani e creano tsunami di bit e bot e bum!
Sarà una navigazione difficile se continua così e ci saranno molti naufraghi e rischeremo pure salate multe per salvarli!
Ma li salveremo e se i porti saranno chiusi continueremo a navigare, bevendo pioggia e mangiando pesci pieni di plastica.
Per fortuna ci sono gli amici di sempre che vedere è come bere birra ghiacciata dopo una corsa nel deserto.
E poi ci sono gli anziani  nonni i genitori gli zii che conservano l’amore incondizionato e la tenerezza di un bambino.
E ci sono loro i bambini che sanno giocare a pallavolo senza pallone, volare a New York senza aereo e giurare amore eterno a 7 anni.
E separarmi da loro è sempre molto dura, anche perché la terra li attanaglia e non riescono proprio a venirmi a trovare.
Peccato! Non è lo stesso tornare da soli in Paradiso!

domenica 5 maggio 2019

Una veleggiata indimenticabile

Antigues è già partita, Alfredo si prepara a lasciare il porto con spring e cime a doppino.

Io devo accendere il computer, perchè è arrivata la risposta della controparte ad una questione di lavoro.

Alfredo è pronto, mi chiama per partire prima che si alzi il vento, ma io sono da tutt'altra parte: 

- L'avverario ha esagerato, ha tirato troppo la corda, ha cambiato i termini del contratto, gli dico.
- L'accordo salta. Io non me la sento di partire!

Alfredo cerca di farmi ragionare: 
- Restare in questo porto di fortuna con 30 nodi di vento non è il caso. Non puoi lavorarci domani su questo caso?

Mi prendo mezz'ora per raccogliere le idee. Sento un fuoco dentro che ribolle e come un disco rotto ripeto che l'accordo salta e che bisogna impugnare il contratto originario subito!

Il mio cliente, al telefono, trema e inizia a portarmi nei suoi ragionamenti infiniti e tortuosi, che generalmente mi fanno perdere la rotta.
Questa volta però devo partire, e subito: il comandante scalpita.

Chiudo la telefonata. Riprendo il mio punto di vista e scrivo solamente  il testo secco di una PEC: dettiamo le ultime possibili condizioni per una trattativa, poi si vedrà.


E così salpiamo.

Alfredo si era preparato a partire da solo, esagerando con i doppini,  sono distratta e le cime da recuperare sono  troppe. Per partire in sicurezza alla fine siamo costretti ad  abbandonarne una.

Il vento è giusto, il mare calmo, ma non riesco a rilassarmi.

Il capitano continua a sottolineare la bellezza dei colori, la perfezione del vento per le vele. Io resto assente rapita da foschi pensieri di battaglie legali.
Non riesco nemmeno a vedere il profilo dell'isola che mi scorre davanti.

Squilla il telefono, e' mio padre : le sue parole sono una doccia fredda che resetta tutto:

- Vale. Il tuo amico e collega A.  ha avuto un'ischemia celebrale! Dovrebbe essere fuori pericolo!

Segue un istante infinito e vuoto.

Poi lentamente riaffiorano i colori, l'isola è quasi finita, davanti a noi solo mare, dietro le dune di sabbia brillano illuminate dal sole, contrastando con le rocce rosso scuro delle montagne.

Chiamo A., ma non squilla perchè il telefono è già completamente senza rete.

Mi dice che è fortunato a poterla raccontare, che non ne vale proprio la pena di preoccuparsi così tanto per il lavoro e che ho fatto bene ad andarmene lontano in barca a vela.

Lo invito a venire qui non appena uscito dall'ospedale ma  lui arriva  subito e iniziamo a goderci una veleggiata indimenticabile.

Alfredo arma e disarma prima il genoa poi il cutter. Li prova insieme e separati, con la massima invelatura e con diversi livelli di riduzione.

Poi inizia a testare la randa: la cazza, la scarrella, tesa meglio la base, alla fine mette una mano di terzaroli.

Quando il frazionamento delle vele rispetto al vento è tale da eliminare la straorza, il sole è alto, lui passa al timone ed io mi cerco un posto per godermi il sole.

A poppa sventola la bandiera belga e Gyziana ci porta alla via così, senza parole, senza pensieri, puntando il profilo della Isleta che inizia ad emergere all'orizzonte sopra la foschia.


mercoledì 24 aprile 2019

Racconti di giramondi, di isole e di segreti.

C'è una finestra di soli tre giorni prima che l'Aliseo torni a soffiare a 30 nodi.

Due li usiamo per rilassarci a Fuerteventura insieme agli amici di Antigues, un Amel che ha attraversato più volte l'Altantico.
  
Ormeggiamo le nostre barche in un marina abbandonato, frequentato solo da  anziani pescatori del posto.

  

L'acqua è trasparente. Vediamo due razze che rincorrono un branco di piccoli pesci, che si aprono e poi ricompattano, per sfuggire ai loro alati inseguitori. Altre presenze non ce ne sono a parte le raffiche di vento catabatico.

Stiamo bene in questo porto da "Marinai perduti".

La colazione si dilata come il tempo su Antigues,  dove Giuseppe e Cristina preparano caffè e the,  mentre i loro ospiti, Carmine e Marcella, ci raccontano delle loro cinque vite in giro per il mondo.

A 38 anni partono in barca a vela da Napoli con un bimbo di due.

Dopo aver attraversato due Oceani, anzicchè completare il giro del mondo, si fermano in Nuova Zelanda.

Qui mentre il gioco preferito di loro figlio è farsi inseguire dagli squali, creano una società, che li porta a trasferirsi a Singapore e a realizzare una discreta fortuna, che ora si godono ancora 50 enni, in un lussuoso catamarano.

Sarà l’accento napoletano, ma Carmine mi ricorda il mio avversario in una situazione di crisi aziendale provocata dalla brusca interruzione  di una licenza d’uso di un marchio.  Perché anche se sono in questo posto magnifico nel qui ed ora, il mio lavoro comunque mi riporta alle terraiole dinamiche giudiziarie.

- Lo poteva fare? mi chiede Carmine
- Si, dico io.
- E allora? fa lui alzando le spalle.


Ma a me luccicano gli occhi, perché mi attizza l’idea di vincere la sfida col mio avversario, soprattutto ora che vedo incarnata davanti a me la ragione del vincere .

Torno alla colazione  che nel frattempo  diventa un pranzo, il pranzo un caffè  nel paesino, il caffè un tuffo nel mare ghiacciato, limpido e turchese.


Ci asciughiamo in una spiaggia di dune assolata che sfuma in una passeggiata con altri racconti fino al tramonto.

L'isola ha una sola strada asfaltata che da Morro Hable arriva al capoluogo. La percorriamo tutta fino al deserto di dune.  Attraversa montagne brulle e colline di sabbia abitate da capre selvatiche  che riescono a brucare quel poco di erba che cresce nel deserto.

Ogni tanto la strada torna a costeggiare il mare.
Sono 100 km di costa e spiagge immense: a Sud ridossate dal vento e buone per gli ormeggi, a Nord invece paradisiache per i serfisti. I villaggi niente di chè: villette per turisti costruite dalla  'ndrangheta calabrese e qualche sparuta casa colonica.

Per andare dall'altra parte dell'isola e concludere le due giornate con un tramonto sul mare c'è solo una "carettera", non asfaltata e piena di curve polverose a strapiombo sull'Oceano.

Ci fermiamo nel punto in cui alle nostre spalle si vedono solo le montagne e davanti la coda dell'isola, che termina in mare con un faro solitario.


Qui, attendendo il raggio verde, con Cristina e Giuseppe parliamo sottovoce, per non farci sentire dalla piccola Martina, come se i segreti non urlassero ancora più forte al cuore di una bimba!


Ci raccontiamo  delle nostre ferite, delle debolezze, malattie e altri piccoli disastri, che sono stati il vero vento Maestro che ci ha portato fin qui solcando i mari esterni ed interni, a vivere su una barca a vela, ai confini dell'Europa ma sempre in viaggio come nomadi alla ricerca di sè stessi.


Contattaci per viaggaire con noi

Queste le prossime rotte