martedì 5 novembre 2013

BLUE BONE, LEUCA-OTHONOI.LEUCA, 1-2-3 NOVEMBRE 2013



Ci sono storie che si raccontano quasi da sole. E ci sono luoghi che fanno nascere le storie. Othoni è uno di questi posti così.

Fuori stagione è un luogo surreale. Sull’isola più gatti che abitanti, un’unica strada andata e ritorno, un minuscolo cimitero, una vecchia centrale elettrica, una scuola e un posto di polizia, due o tre botteghe, solo una trattoria aperta. La trattoria di Tasso. Donne, credo di averne contate non più di sei o sette.

 E un porticciolo, quello sì. 

Tasso si presentò all’ormeggio ondeggiando sul suo scooter, pancia allegra e tesa, sorriso sornione e grandi baffi. Acconciatura impeccabile, con una riga perfetta sul lato sinistro. Con aria indifferente attaccò discorso e ci disse che - combinazione - si trovava lì perché era appena tornato dalla pesca di calamari. 

Ora dopo ora, davanti alle olive, alle birre, alle carte di burraco nascevano nei nostri discorsi le storie degli abitanti dell’isola. Ogni dettaglio ci serviva per mettere insieme indizi, per ricostruire vicende vecchie e nuove. E gli isolani, i vari Tasso, Pericle, Dimitri, ci fornivano, più o meno consapevolmente, gli elementi mancanti per continuare il racconto, o semplicemente per alimentare le nostre fantasie. 


Poteva essere una lettera del 1955 e un paio di scarpe da donna trovati in una casa abbandonata, una zia Afrodita emigrata in gioventù, potevano essere i calamari che per due giorni Tasso annunciò di aver pescato, di aver intenzione di pescare o di aver cercato di pescare - impossibile capirlo - e non ci portò mai per cena, poteva essere il miele coltivato nei boschi nelle arnie di Babis che si materializzò all’improvviso sul nostro tavolo in vasetti da chilo. 

Nelle piccole isole le storie nascono così. I viaggiatori cercano personaggi e gli isolani cercano autori. Alla fine tutto quadra, ogni cerchio si chiude, dentro e fuori.
 
Un inarrestabile contagio. E tutti cominciamo a raccontare. Di Calipso che lasciò andare Ulisse rinunciando per sempre al suo amore. Di quando Ulisse volle ascoltare il canto delle sirene facendosi legare all’albero della nave. Di Rio De Janeiro. Di San Paulo. Delle favelas. Di Salvador de Bahia. Dei viados. Di Dona Flor e i suoi due mariti. Dell’oceano. Di scene da western in un bar di Locri. Di bambole carbonizzate nel forno, di macchine rubate ai genitori e poi sfasciate, di corse al pronto soccorso. Di persone bizzarre incontrate nei viaggi in barca, di serate improvvisate e di aneddoti incredibili. Di quando lo stesso Tasso, in preda al furore sacro della danza, appiccò sul pavimento un cerchio di fuoco e poi cadde teatralmente in ginocchio davanti alla sua dama, spiccando subito dopo un balzo repentino e riprendendo a ballare senza sosta la pizzica immerso in un bagno di sudore. Di molte altre cose strane, tristi, felici, esilaranti, drammatiche, irresistibili.
E di Pina Baush, di quando questa magrissima signora tedesca, sconosciuta ai più, in una discoteca qualsiasi della movida salentina animò il suo elegante corpo nervoso inseguendo, scardinando e interpretando gli ondeggiamenti performanti e anonimi delle cubiste seminude, con la naturalezza e l’incanto di chi incarna la bellezza perché la vede, di chi non rinuncia mai alla poesia in nessun momento e in nessun luogo, di chi non risparmia mai il dono di sé.

Di tutto questo si parlava a Othoni. E chi di noi di volta in volta non raccontava e ascoltava, disegnava con la mente, scriveva col pensiero, danzava con le parole.
Rita